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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 22-07-2020

Un test acustico può svelare se l’Hiv è anche nel cervello



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Un metodo innovativo è stato sperimentato da ricercatori statunitensi per valutare se l'Hiv è in grado di determinare anche danni cerebrali (e disturbi cognitivi)

Un test acustico può svelare se l’Hiv è anche nel cervello

Un test uditivo per aprire una finestra su come l’Hiv possa annidarsi anche nel cervello. È quello che ha messo a punto un gruppo di ricercatori statunitensi, desiderosi di fare luce sull’impatto che il virus dell’immunodeficienza acquisita (agente responsabile dell’Aids) può avere anche a livello del sistema nervoso centrale. Anche se sottoposti a un’efficace terapia antiretrovirale, i pazienti positivi all’Hiv possono subire danni al sistema nervoso centrale. «Abbiamo condotto diverse prove uditive su una coorte di pazienti Hiv positivi a Dar es Salaam, in Tanzania - dichiara Jay Buckey, professore di medicina alla Geisel School of Medicine di Dartmouth -. All’inizio pensavamo che l’Hiv colpisse le loro orecchie. Invece quel che sembra colpita dalla malattia è la capacità del cervello di elaborare i suoni». Non è chiaro se questi problemi siano dovuti alla malattia, alle cure o alla risposta immunitaria dell’organismo. E  individuare questi cambiamenti in maniera precoce è ancora difficile.


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BASTA UN TEST SIMILE ALL'ELETTROENCEFALOGRAMMA

Per verificare la loro ipotesi, i ricercatori hanno usato quella che viene chiamata risposta in onde di frequenza per una stimolazione evocata da un suono (Ffr). In questo test, le onde cerebrali vengono recepite da elettrodi posti sulla testa (come in un encefalogramma) mentre suoni comuni, della parlata quotidiana, come «ba», «da» e «ga», vengono pronunciati nell’orecchio del paziente. Questo metodo permette - in maniera non invasiva - di registrare le onde cerebrali e verificare le funzioni uditive. «Ci sono molti ingredienti acustici in un discorso: intonazione, sincronizzazione, armonia», spiega Nina Kraus, docente di Scienze della comunicazione e Neurobiologia alla Northwestern University. «Le Ffr ci permettono di far sentire i suoni di un discorso nell’orecchio dei partecipanti all’esperimento e capire come il cervello stia processando questi diversi ingredienti acustici».


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BUON UDITO, MA ONDE DISGREGATE

Nello studio in questione, pubblicato sulla rivista Clinical Neurophisiology, sono state messe a confronto le risposte di 68 adulti positivi all’Hiv e di 59 persone sane. Nei primi pazienti si è visto che le risposte uditive neurofisiologiche a certi spunti apparivano disgregate, anche se ai test dell’udito la risposta risultava normale. Un ostacolo in più, che ha confermato come le difficoltà uditive fossero probabilmente a livello del sistema nervoso centrale. «Quando la mente elabora i suoni, non è come girare la manopola del volume di un apparecchio in cui tutti gli ingredienti vengono resi bene o male - aggiunge Kraus -. Con le Ffr siamo riusciti a vedere quali aspetti dell’elaborazione acustica fossero compromessi per valutare l'esistenza o meno di una specifica firma neurale determinata dall'Hiv».


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METODO UTILE ANCHE PER ALTRE MALATTIE

Ecco perché i ricercatori vedono nelle Ffr uno strumento praticabile per altri studi, non solo i meccanismi delle disfunzioni cerebrali associate all’Hiv (che potrebbe essere la premessa dell’Aids), ma pure i disturbi provocati da una commozione cerebrale, dall'Alzheimer e dall’infezione da virus Zika. «Abitualmente, se si vogliono conoscere le funzioni cognitive, si fanno test di matematica o si fanno ricordare liste di nomi o, ancora, sistemare varie specie di puzzle, compiere disegni e così via», commenta il professor Buckey. «Occorre gente che abbia dimestichezza con questi tipi di prove e i test devono tener presente la loro lingua natale e la cultura da cui quelle persone provengono. Quello che è molto rilevante nei nostri lavori, invece, è che il test non richiede alcuna azione dal paziente. Mentre si fa l’esame, la persona potrebbe anche dormire o guardare un film. Dunque le Ffr rappresentano una promessa di poter indagare il cervello in modo facile e oggettivo».

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Antonella D’Arminio Monforte, direttore della clinica di malattie infettive all’Ospedale San Paolo e ordinario all'Università degli Studi di Milano, trova molto interessante la ricerca statunitense che punta a introdurre questo test per «entrare» nel cervello senza richiedere la collaborazione attiva del paziente. «Diversi positivi Hiv presentano demenze più o meno gravi, il virus entra nel cervello e toglie le connessioni - precisa la specialista -. In alcuni casi ci possono essere anche disturbi cognitivi, di cui è difficile comprendere l’ampiezza. Anche la risonanza magnetica ci ha detto poco finora, a riguardo. Mentre usando i test neuropsicologici, ci si può scontrare o con pazienti di bassa scolarità o stranieri, per cui la comprensione risulta più difficile».


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IL SUONO CREA UN’ONDA CEREBRALE

«Ora questo metodo che crea un’onda cerebrale con uno stimolo acustico su persone della stessa età, offre un nuovo modo di vedere, imparziale», aggiunge D'Arminio Monforte. Anche se i pazienti sottoposti alla ricerca non sono molti, la strada tracciata in questo lavoro appare di grande interesse.  Con questo sistema, si può infatti verificare la maggiore e minore presenza di disturbi cognitivi. «E ciò è utile per la cura - conclude l'esperta -. Si può cambiare la terapia se il disturbo si rivela più grande di quanto si credeva, modulare i farmaci in base all’esito dell’esame cerebrale, che è innocuo».

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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