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Oncologia
Redazione
pubblicato il 20-09-2021

Effetti collaterali della chemioterapia: ne vale la pena?



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Come valutare i benefici e gli effetti collaterali negativi della chemioterapia? Un confronto fra un marito preoccupato e un oncologo di grande esperienza

Effetti collaterali della chemioterapia: ne vale la pena?

Mia moglie è stata di recente operata per tumore alla mammella ed è stata sottoposta per 12 sedute al trattamento chemioterapico secondo i protocolli. Ora, da poco, ha iniziato il secondo trattamento chemioterapico. Dopo questo periodo di terapia mia moglie di anni 74 ha iniziato ad avvertire le conseguenza non piacevoli della chemio: dolore e formicolio alle mani, senso di nausea, sangue al naso, ma soprattutto insensibilità agli arti inferiori con possibilità di cadute rovinose; senza contare poi tutte le altre controindicazioni che tutti conosciamo. La mia potrà sembrare una considerazione fuori luogo ma, mi chiedo, come è possibile che la ricerca abbia potuto produrre sostanze chemioterapiche cosí nocive per la salute dei pazienti? Quanto ne vale la pena? Ovviamente non tutti i casi sono uguali e con questo non voglio demonizzare la ricerca e le cure chemioterapiche; mi chiedo solo, con tutta la ricerca che avviene nel mondo, non è possibile mettere a punto prodotti con meno controindicazioni e spesso dannosi, forse, più della malattia stessa? Grazie e distinti saluti

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Paolo, Bologna

Risponde Alberto Scanni, già direttore del Dipartimento di oncologia dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano e Direttore Generale dell’Istituto dei Tumori di Milano. Fondatore e presidente della Società Italiana di Psiconcologia e del Collegio Italiano dei Primari oncologi medici ospedalieri (CIPOMO)

La scienza ricerca in continuazione farmaci nuovi per curare i tumori. E i risultati ci sono! Alcuni sono molto attivi, altri meno, molti hanno pochi effetti tossici altri di più, magari proprio quelli che funzionano meglio. La ricerca cerca sempre di far fronte a questo difetto, ma non sempre è possibile. D’altra parte si può capire: i chemioterapici hanno la funzione di uccidere le cellule maligne, ma anche quelle sane ne risentono, da qui i disturbi come quelli di cui soffrono molti malati.

Ne vale la pena? Purtroppo è una situazione che a volte si è costretti a pagare in funzione di un risultato positivo che può corrisponde alla guarigione o a un prolungamento significativo della sopravvivenza. La ricerca comunque ha messo a punto farmaci che cercano di contrastare gli aspetti sgradevoli della chemio (nausea, vomito, riduzione dei globuli bianchi e delle piastrine, disturbi neurologici, cc.), che vengono somministrati in contemporanea per renderla più sopportabile.

Detto ciò, quando si imposta una chemioterapia bisogna sempre valutare le condizioni del paziente e in base ai dati scientifici, se il “gioco vale la candela” e la potrà sopportare. In altri termini, se i benefici del trattamento saranno superiori o meno al prezzo da pagare per la sua tossicità. Certo qualcuno potrebbe dire : “è sempre meglio provare perché non si sa mai”, ma quello che conta è la buona qualità di vita del malato ed evitare di fargli pagare un prezzo troppo alto con scarsi vantaggi.

E qui sta la coscienza, la abilità, l'eticità dell’oncologo che propone una cura. La sua capacità di interloquire col malato nel proporgli una chemioterapia, nel dire i pro e i contro e, se necessario, esporre anche la propria idea, evitando di applicare pedissequamente protocolli terapeutici senza una attenta valutazione caso per caso.

Gianni Bonadonna, mio maestro, grande oncologo, padre dell'oncologia moderna criticava in un suo libro gli oncologi acritici chiamandoli protocols doctors : "... che prescrivono esami su esami… e non sono i medici dei quali i pazienti hanno bisogno". Discorso pesante, detto da un uomo che ha inventato i protocolli, che li ha usati e diffusi, ma che ha però visto il pericolo di automatismi nella loro applicazione, la perdita del senso critico e l'incapacità a gestire le eccezioni nell'impostare i trattamenti. Diceva: ”… tutte le valutazioni e i piani di cura devono essere previsti anzitutto nell'interesse dei pazienti. In sintesi: più cultura e competenza, meno schemi rigidi”. Per concludere: è bene usare certe cure, ma bisogna valutare se in quella determinata situazione è meglio non darle e guardare alla qualità di vita del malato.

 

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