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Medico e paziente: quando non si può essere asettici

Le percentuali non bastano. La vera domanda è: "Se fosse lei al mio posto?"

Medico e paziente: quando non si può essere asettici

Dialogo tra medico e paziente in una istituzione oncologica. Dottore: «Se facciamo questo trattamento la percentuale di risposta della sua malattia alla cura è del 50%, se facciamo l’altro è del 40% ma avrebbe meno disturbi e lo tollererebbe meglio». Paziente: «Ma lei cosa dice?» Dottore: «È lei che deve scegliere». «Sì ma se fosse al mio posto cosa farebbe?». «Se fossi un suo parente cosa mi consiglierebbe?».

È vero bisogna fornire al malato tutte le informazioni possibili, ma quanto si parla con lui il rapporto non è mai paritetico, si ha di fronte una persona debole, in una condizione psicologica di inferiorità, che pende dalle labbra di chi lo cura e vuole una sua opinione, un suo giudizio su quello che dovrà fare. Poi sceglierà, ma vuole una partecipazione attiva sulla strada che intraprenderà.

Il medico spesso non riflette su questo aspetto e sul fatto che, volenti o nolenti, è il responsabile di chi ha in cura: un soggetto disposto a dargli anima e corpo pur di guarire. Da qui il dovere di essere disponibile alle sue richieste, di avere capacità di comprensione e ascolto, di usare bene la parola con un linguaggio chiaro, di non avere un atteggiamento sussiegoso, di non arroccarsi in silenzi penalizzanti, di dare tempo, di non essere distaccato e saccente. In poche parole di “giocarsi” al meglio nella relazione e di “contaminarsi” dicendo la propria.



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