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Oncologia

Tumore al seno triplo negativo: chemioterapia addio

Nei casi metastatici non trattabili con immunoterapia, gli anticorpi coniugati contro TROP2 rivoluzionano la cura

Il tumore al seno triplo negativo fa sempre meno paura. Anche nelle forme più difficili da trattare, quelle in cui l'immunoterapia non può essere somministrata, qualcosa può essere fatto. Dopo anni di sostanziale stallo, dove l'unica opzione era rappresentata dalla chemioterapia, oggi gli anticorpi coniugati entrano ufficialmente tra le possibili armi da usare per affrontare le forme metastatiche di tumore al seno triplo negativo. Al congresso dell'European Society for Medical Oncology sono stati presentati due studi-ASCENT-03 e TROPION-Breast02- che presto cambieranno il modo di affrontare questa tipologia di tumore. Risultati che segnano un punto di svolta per le pazienti che non possono ricevere l’immunoterapia.

IL TUMORE AL SENO TRIPLO NEGATIVO

Il tumore al seno triplo negativo, storicamente, è sempre stata la forma di cancro della mammella più difficile da curare. Mentre le altre forme presentano dei recettori sulla superficie delle cellule tumorali che possono essere sfruttati per orientare le terapie, nel triplo negativo l’assenza di bersagli rende tutto più complicato. Recentemente, come raccontato in questo nostro approfondimento dal congresso ESMO dello scorso anno, l'utilizzo dell'immunoterapia ha cambiato notevolmente la storia di questo tumore. Quando diagnosticato in fase precoce, l'immunoterapia può portare addirittura alla guarigione.

QUANDO NON È POSSIBILE USARE L'IMMUNOTERAPIA

Ma l'utilizzo dell'immunoterapia non è sempre possibile. Una quota non indifferente dei tumori al seno triplo negativo metastatici non presenta PD-L1, la proteina su cui agiscono gli immunoterapici. In questi casi la prognosi è particolarmente sfavorevole e l'unico possibile trattamento, poco efficace e con grande impatto sulla qualità di vita, è rappresentato dalla chemioterapia. Ed è proprio su questi casi che si sono concentrati i due studi presentati al congresso e che hanno visto protagonisti gli anticorpi coniugati contro Trop-2, un bersaglio presente sulle cellule tumorali di triplo negativo.

L'AVVENTO DEGLI ANTICORPI CONIUGATI: LO STUDIO ASCENT-03

Il primo studio -ASCENT-03- ha confrontato l'anticorpo coniugati sacituzumab govitecan con la chemioterapia standard in 558 pazienti. Dalle analisi, pubblicate contestualmente sul New England Journal of Medicine, il farmaco ha prolungato il tempo in cui la malattia rimane sotto controllo, passando da 6,9 a 9,7 mesi: in altre parole, le pazienti trattate con sacituzumab govitecan hanno vissuto quasi tre mesi in più senza che il tumore progredisse, con una riduzione del 38% del rischio di peggioramento o morte. Anche la durata delle risposte al trattamento, cioè il periodo in cui il tumore continua a ridursi o a restare stabile dopo aver risposto alla terapia, è risultata quasi doppia: 12,2 mesi contro 7,2 con la chemioterapia.

«I risultati dello studio -commenta Giuseppe Curigliano presidente eletto ESMO, professore di Oncologia Medica all’Università di Milano e Direttore Divisione Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative allo IEO di Milano- ampliano le prospettive di utilizzo di questa terapia in un setting di pazienti che presenta bisogni clinici ancora insoddisfatti. La capacità di sacituzumab govitecan di ritardare la progressione di malattia rappresenta un importante progresso terapeutico per questa popolazione di pazienti, stabilendo un potenziale nuovo standard di cura».

LO STUDIO TROPION-BREAST02

Il secondo studio -TROPION-Breast02- ha valutato l’efficacia dell’anticorpo coniugato datopotamab deruxtecan rispetto alla chemioterapia in 664 pazienti. Dalle analisi è emerso che il trattamento con l'anticorpo coniugati ha prolungato la sopravvivenza complessiva, cioè il tempo medio di vita delle pazienti dall’inizio della terapia, di cinque mesi rispetto alla chemioterapia: 23,7 contro 18,7 mesi. Il farmaco ha inoltre ridotto del 43% il rischio di progressione della malattia o di morte, portando la sopravvivenza libera da progressione -ossia il periodo in cui la malattia resta stabile senza peggiorare- da 5,6 a 10,8 mesi rispetto alla chemioterapia.

«Questi importantissimi risultati, ottenuti nelle pazienti con tumore al seno metastatico triplo negativo in prima linea non candidabili all’immunoterapia, sono ancora più rilevanti in quanto questo è l’unico studio che ad oggi ha incluso pazienti con recidiva precoce di malattia, condizione purtroppo frequente e caratterizzata da aggressività biologica, clinica e resistenza ai farmaci convenzionali, e per la quale ad oggi non avevamo valide opzioni terapeutiche» ha commentato Giampaolo Bianchini, Professore associato e responsabile del Gruppo mammella dell’IRCSS Ospedale San Raffaele, Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

UN TUMORE CHE SI PUÒ AFFRONTARE

Insieme ai progressi ottenuti con l’immunoterapia nelle forme diagnosticate in fase precoce, i risultati degli anticorpi coniugati segnano un nuovo capitolo nella cura del tumore al seno triplo negativo. Dopo anni in cui le opzioni terapeutiche erano limitate e la prognosi particolarmente sfavorevole, oggi questa malattia può essere affrontata con prospettive nuove, grazie a trattamenti sempre più mirati e tollerabili.

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