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dei tumori al seno
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Sopravvivenza a 5 anni per i tumori HR-positivi localizzati
Tumore del seno ormono-dipendente

Il tumore del seno ormono-dipendente, chiamato anche carcinoma mammario ormono-responsivo o HR-positivo (dall’inglese Hormone Receptor positive), è una forma di carcinoma mammario le cui cellule tumorali presentano al loro interno dei recettori per gli ormoni estrogeni (ER) e/o progesterone (PR). Questi recettori consentono agli ormoni di stimolare la crescita del tumore.
Il tumore del seno HR-positivo è il sottotipo più frequente di carcinoma mammario: si stima che circa il 70% dei tumori al seno sia ormono-responsivo.
Un tumore è definito ormono-responsivo quando almeno l’1% delle cellule tumorali esprime recettori per gli estrogeni e/o il progesterone, rilevati tramite test immunoistochimico sul tessuto prelevato. La presenza di questi recettori influenza in modo determinante la strategia terapeutica, poiché rende possibile l’impiego di terapie endocrine mirate a bloccare l’azione degli ormoni o ridurne la produzione.
Dal punto di vista istologico, i tumori HR-positivi possono presentarsi come carcinoma duttale infiltrante o carcinoma lobulare, con gradi di aggressività variabili. Tendono a crescere più lentamente rispetto ai tumori HER2-positivi (quando le cellule tumorali presentano una sovraespressione della proteina HER2 - Human Epidermal Growth Factor Receptor 2 - sulla membrana cellulare, oppure una amplificazione del gene ERBB2, che codifica HER2) o triplo negativi (negativi ai recettori per gli ormoni e a HER2), ma possono recidivare anche a distanza di anni dalla diagnosi.
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I fattori di rischio per il carcinoma mammario ormono-responsivo coincidono in gran parte con quelli generali del tumore al seno, ma in questa forma l’influenza dell’esposizione cumulativa agli ormoni estrogeni nel corso della vita è particolarmente rilevante. Tra i principali fattori di rischio documentati:
- Età: più comune nelle donne in post-menopausa.
- Fattori riproduttivi e ormonali: menarca precoce (prima dei 12 anni), menopausa tardiva (dopo i 55 anni), assenza di gravidanze o prima gravidanza dopo i 30 anni, mancato allattamento al seno.
- Terapie ormonali sostitutive (soprattutto combinate estrogeni-progestinici) per periodi prolungati.
- Stile di vita: sovrappeso o obesità dopo la menopausa, sedentarietà, consumo eccessivo di alcol.
- Familiarità e genetica: avere parenti di primo grado (madre, sorella, figlia) con carcinoma mammario aumenta il rischio, anche in assenza di mutazioni genetiche note. Questo effetto dipende sia da fattori ambientali condivisi sia da eventuali predisposizioni genetiche non ancora identificate. Le mutazioni genetiche più note associate ad un maggior rischio di tumore al seno sono quelle dei geni BRCA1 e BRCA2. Anche se queste mutazioni sono più associate ad altri sottotipi tumorali, non escludono la possibilità che si verifichino tumori HR-positivi, con maggiore frequenza per BRCA2.
Non esistono strategie di prevenzione specifiche, ma mantenere un peso nella norma, svolgere attività fisica regolare, seguire un’alimentazione di tipo mediterraneo e limitare il più possibile l’alcol riducono il rischio complessivo. Inoltre, aderire ai programmi di screening mammografico riduce la mortalità per tumore alla mammella.
I sintomi del tumore al seno ormono-responsivo non si distinguono da quelli di altri sottotipi di carcinoma mammario e possono includere:
- Nodulo duro e non dolente alla palpazione.
- Cambiamenti nella forma o nelle dimensioni della mammella.
- Retrazione della pelle o del capezzolo.
- Arrossamento, gonfiore o ispessimento cutaneo.
- Secrezioni dal capezzolo (talvolta con sangue).
In molti casi, nelle fasi iniziali, il tumore è asintomatico e viene rilevato tramite mammografia di screening.
La diagnosi del tumore al seno ormono-dipendente prevede diversi passaggi:
1. Imaging – La mammografia è l’esame di riferimento per individuare lesioni sospette; l’ecografia viene utilizzata soprattutto nelle donne giovani o con seno denso. La risonanza magnetica è indicata in casi selezionati (seni molto densi, malattia multifocale, valutazione prechirurgica).
2. Biopsia – Necessaria per confermare la diagnosi e analizzare il tessuto tumorale. Può essere eseguita con ago tranciante (core needle biopsy) o chirurgicamente.
3. Analisi istologica e immunoistochimica – Oltre a confermare la natura maligna e il tipo istologico, si determinano lo stato dei recettori ER e PR, il livello di espressione HER2 e l’indice di proliferazione Ki-67.
4. Valutazione dell’estensione – In caso di sospetta malattia avanzata, si ricorre a TAC, PET o scintigrafia ossea.
Il trattamento del tumore al seno ormono-dipendente (HR-positivo) si basa su un approccio combinato che integra terapie locali e terapie sistemiche, scelte e modulate in base allo stadio della malattia, al grado di aggressività, alle caratteristiche biologiche e alle condizioni generali della paziente.
Il cardine del trattamento sistemico è rappresentato dalla terapia endocrina, che agisce bloccando l’attività degli estrogeni o riducendone la produzione, rallentando così la crescita delle cellule tumorali. Nelle donne in pre-menopausa, il farmaco di riferimento è il tamoxifene, che si lega ai recettori degli estrogeni impedendo l’attivazione da parte dell’ormone. In pazienti a rischio più alto può essere associato a soppressione della funzionalità ovarica e inibitori dell’aromatasi, che riducono la produzione di estrogeni bloccando l’enzima aromatasi responsabile della loro sintesi. In post-menopausa, gli inibitori dell’aromatasi – come letrozolo, anastrozolo ed exemestane trovano maggiore impiego In casi specifici, si può ricorrere anche al fulvestrant, che agisce degradando il recettore degli estrogeni e impedendone così l’azione stimolante sulla cellula tumorale. La terapia endocrina può durare da un minimo di cinque anni fino a dieci anni.
Il trattamento locale comprende la chirurgia, che può consistere in una chirurgia conservativa (asportazione della lesione e di un’area circostante sana che può essere più o meno ampia) o in una mastectomia (asportazione completa della ghiandola mammaria), con biopsia del linfonodo sentinella e eventuale dissezione ascellare, a seconda dell’estensione della malattia e delle caratteristiche della paziente. A completamento dell’intervento, la radioterapia è indicata dopo la chirurgia conservativa e, in situazioni selezionate, anche dopo la mastectomia, al fine di ridurre il rischio di recidiva locale.
La chemioterapia trova indicazione nei tumori HR-positivi ad alto rischio di recidiva o in fase avanzata, soprattutto se l’indice di proliferazione (Ki-67) è elevato o se la malattia presenta altre caratteristiche di aggressività clinica.
Negli ultimi anni, un ruolo sempre più rilevante lo hanno assunto le terapie mirate, in particolare negli stadi avanzati di malattia HR-positiva/HER2-negativa. In queste situazioni, la combinazione della terapia endocrina con inibitori delle chinasi ciclina-dipendenti 4 e 6 (CDK4/6) – come palbociclib, ribociclib e abemaciclib – ha dimostrato di prolungare in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione e, in diversi studi, anche la sopravvivenza globale, migliorando il controllo della malattia senza peggiorare in maniera sostanziale la qualità di vita.
I tumori HR-positivi tendono ad avere una prognosi migliore rispetto ai sottotipi triplo negativo e HER2-positivo, grazie alla maggiore disponibilità di terapie mirate e alla risposta alla terapia endocrina. Tuttavia, il rischio di recidiva può persistere a lungo, anche oltre 10 anni dalla diagnosi, seppur con un andamento più lento. La sopravvivenza a 5 anni per i tumori HR-positivi localizzati supera il 90%, ma varia in base allo stadio, all’età della paziente e ad altri fattori prognostici.
Le 5 domande più frequenti sul tumore al seno ormono-dipendente
Significa che le cellule tumorali crescono stimolate dagli ormoni estrogeni e/o progesterone. Questi tumori esprimono recettori specifici (ER e/o PR) che rappresentano un bersaglio per terapie endocrine efficaci.
Sì, è più comune nelle donne in post-menopausa, ma può colpire anche donne più giovani, soprattutto in presenza di fattori di rischio ormonali o genetici.
La terapia si basa soprattutto su farmaci ormonali (come tamoxifene, inibitori dell’aromatasi, fulvestrant), spesso in combinazione con chirurgia, radioterapia e, in alcuni casi, chemioterapia o terapie mirate come gli inibitori di CDK4/6.
In generale sì, grazie all’elevata sensibilità alle terapie endocrine e alla disponibilità di farmaci mirati. Tuttavia, il rischio di recidiva può persistere anche oltre 10 anni, seppur con andamento più lento rispetto ad altri sottotipi.
Non in modo specifico, ma mantenere un peso sano, seguire un’alimentazione di tipo mediterraneo, praticare attività fisica e limitare il più possibile gli alcolici riduce il rischio complessivo di cancro al seno. Inoltre partecipare regolarmente agli screening mammografici diminuisce il rischio di mortalità grazie ad una diagnosi precoce.