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Fabio Di Todaro
pubblicato il 23-12-2015

Trapianti, in Galles via libera al «silenzio-assenso»



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Autorizzata la procedura per ampliare il bacino dei potenziali donatori. Ma gli esperti escludono che si tratti della scelta più efficace. In Italia i donatori ci sono, ma difetta l’organizzazione

Trapianti, in Galles via libera al «silenzio-assenso»

Un silenzio che varrà come un assenso. Questa è la strategia adottata nelle scorse settimane dal Galles in materia di donazione degli organi. Nella nazione celtica non sarà più necessario dichiararsi favorevoli. Basterà che una persona non si rifiuti esplicitamente e reni, fegato, cornee e altri tessuti utili potranno essere usati nei trapianti. Funziona così già in Austria e Portogallo, ma i risultati migliori li fa registrare la Spagna: con trentasei donatori ogni milione di persone, a fronte dei 23,1 dell’Italia (la media europea è di 16,1 donatori per milione). Una scelta adottata - il Galles è l’unico Paese del Regno Unito ad aver cambiato registro - nella speranza di vedere crescere la quota dei donatori.


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IN COSA CONSISTE LA SVOLTA

Dall’1 dicembre i cittadini gallesi che vorranno diventare donatori di organi - discorso valido per tutti: reni, cuore, fegato, cornee, polmoni e pancreas - non devono fare nulla. I maggiorenni che hanno vissuto per almeno un anno durante la loro vita nel Paese e chi lì muoiono vengono presi in esame per l’eventuale prelievo di tutti gli organi sani. Addio alla dichiarazione di volontà, quel documento che ogni italiano deve compilare per comunicare l'intenzione di donare i propri organi, una volta deceduto. In Galles vale ormai quello che, in gergo tecnico, si chiama presunto consenso. Chi non intende mettere i propri organi a disposizione (86mila le comunicazioni simili già ricevute) dovrà impegnarsi nel comunicarlo finché è in vita o lasciarlo detto ai parenti di primo grado (moglie, genitori, figli), che potranno esplicitare ai medici la volontà del proprio congiunto di rinunciare alla donazione. La scelta punta a irrobustire il bacino dei potenziali donatori. «Vogliamo evitare che in Galles si muoia perché manca un organo, come accaduto a 14 nostri connazionali durante lo scorso anno (in Italia la quota di pazienti in lista d’attesa che muore ogni anno è compresa tra 100 e 150, ndr)», ha affermato il ministro della Salute, Mark Drakeford. «È il momento che anche gli altri Paesi del Regno Unito seguano l’esempio del Galles», ha fatto sapere la British Heart Foundation, sostenuta da diversi pazienti in lista di attesa.

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COINVOLGERE LE FAMIGLIE

Oltre la Manica da diversi anni si assiste a un calo degli organi trapiantabili: sia perché è in calo il numero delle donazioni sia perché i potenziali donatori risultano avere spesso organi compromessi, alla morte. Una conseguenza dell’aumento delle prospettive di vita, che porta ad aver un maggior numero di organi inutilizzabili al trapianto. Detto ciò, secondo Rafael Matesanz, a capo del dipartimento di nefrologia dell’ospedale universitario Ramon y Cayal di Madrid e direttore dell’Organizzazione Nazionale dei Trapianti spagnola, «non basta cambiare la legge per aumentare il numero di donatori. È più importante aprire una discussione tra le famiglie e potenziare i reparti di terapia intensiva», che è il mix alla base del successo spagnolo. «Non promuoviamo la donazione, ma chiediamo a chi ci manifesta questa volontà di parlarne con i propri cari». L’obiettivo è favorire la massima consapevolezza sul tema. «E poi in tutti gli ospedali i coordinatori dei trapianti, tecnici o infermieri, sono stati sostituiti da medici di terapia intensiva. Si tratta di specialisti disponibili ventiquattro ore al giorno che hanno un ruolo chiave nell'individuare i potenziali donatori e approcciare le famiglie, per prepararle a un'eventuale operazione del loro congiunto». In Europa i parenti hanno diritto di veto e secondo Matesanz sono una quota tra il quindici e il venti per cento quelli che rifiutano la donazione degli organi di un loro familiare.

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IN ITALIA I PROBLEMI SONO ORGANIZZATIVI

Più che per il mancato consenso - l'Italia ha il numero più basso di opposizioni in Europa - la maggior parte dei donatori si perde perché quelli potenziali non sono individuati in modo adeguato. è questo in sintesi il pensiero di Alessandro Nanni Costa, direttore generale del Centro Nazionale Trapianti. «Per aumentare il numero di donatori serve potenziare i reparti di rianimazione, sviluppare il sistema della carta d’identità (da qualche tempo è possibile comunicare la propria volontà anche agli uffici anagrafe dei Comuni, ndr) e il dialogo con le famiglie. Nelle Regioni del Nord-Italia siamo vicini alla trenta donazioni per milione di persone: qualcosa di non troppo diverso dall'efficiente modello spagnolo. Mentre al Sud la quota è quasi dimezzata e dunque migliorabile. E poi possiamo crescere sulle donazioni da persone morte per cause cardiache». Il "silenzio-assenso", introdotto dagli articoli 4 e 5 della Legge 91 del 1999, non ha mai trovato attuazione in Italia, terza forza tra i grandi Paesi europei per numero di donatori: alle spalle di Spagna e Francia. «S’è rivelato tecnicamente irrealizzabile, perché il legislatore aveva deciso di interpellare tutti i potenziali donatori attraverso una notificazione da parte dell'ufficiale giudiziario: procedura che ha complicato sensibilmente la pratica - chiosa l'esperto, che sta limando il nuovo piano nazionale delle donazioni, da lanciare a gennaio -. Così facendo aumenterebbe la quota di organi disponibili, ma si ridurrebbe anche la libertà della persona. Il problema non è soltanto culturale, ma sopratutto organizzativo. E se parliamo ancora di donazione, è giusto registrare l’espressione di volontà del cittadino». 

 

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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