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Francesca Borsetti
pubblicato il 02-03-2021

HPV e cancro: Marta Celegato lavora per curare chi è già infetto



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Più del 90% dei tumori causati da HPV possono essere prevenuti con il vaccino, ma servono terapie specifiche per la cura di chi è già ammalato

HPV e cancro: Marta Celegato lavora per curare chi è già infetto

Le infezioni da Papilloma Virus umani (HPV) sono molto diffuse e vengono trasmesse prevalentemente per via sessuale. Esistono diversi tipi di HPV, alcuni dei quali definiti ad alto rischio, perché responsabili della quasi totalità dei tumori dell’area genitale e dell’orofaringe, sia nella donna sia nell’uomo. Oggi la vaccinazione anti-HPV rappresenta uno strumento efficace nel ridurre l’incidenza dei tumori al collo dell’utero. Purtroppo non sono invece disponibili terapie specifiche per i pazienti già affetti dall’infezione virale che nel tempo, se non si risolve spontaneamente, può determinare lesioni precancerose e cancerose. In particolare, la progressione tumorale legata ai ceppi ad alto rischio è connessa all’attività di due proteine virali specifiche, chiamate E6 e E7.

 

Marta Celegato, ricercatrice all’Università degli Studi di Padova, studia l’effetto di nuovi composti in grado di contrastare l’azione delle oncoproteine E6 e E7. Queste molecole potrebbero rappresentare nuovi potenziali farmaci per la cura di carcinomi HPV-correlati. Il suo progetto verrà sostenuto nel 2021 grazie a una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi nell’ambito del progetto Pink Is Good, dedicato alla ricerca sui tumori femminili

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Marta, perché avete deciso di orientarvi verso questa linea di ricerca?

«I Papillomavirus umani ad alto rischio (HR-HPV) sono responsabili di quasi tutti i casi di tumore della cervice uterina, uno dei tumori più comuni e tra le principali cause di morte nel genere femminile. Alcuni ceppi di HPV possono inoltre causare anche tumori ano-genitali e del distretto testa-collo. Negli ultimi anni è stato avviato un programma di vaccinazione per prevenire l'infezione da Papilloma Virus, ma non sono ancora disponibili farmaci mirati contro di esso. Bisogna individuare trattamenti specifici per i molti pazienti già infetti e ad alto rischio di sviluppare tumori HPV-associati».

 

Come nasce l’idea del vostro progetto?

«Le proteine oncogene E6 e E7 di HPV hanno un ruolo fondamentale nella progressione tumorale e rappresentano possibili bersagli terapeutici per il trattamento dei carcinomi indotti da HPV - spiega la ricercatrice, intervenuta in diretta su Instagram per raccontare il suo progetto -. Negli anni precedenti, grazie al sostegno di Fondazione Umberto Veronesi, abbiamo identificato un composto che inibisce una delle attività della proteina oncogena E6, ovvero la degradazione dell’oncosoppressore p53. Questo composto è in grado di ripristinare i livelli intracellulari di p53 (una molecola che fa da “guardiano” del genoma, evitando la divisione eccessiva, ndr) e di ridurre la proliferazione di cellule tumorali positive al virus».

 

In che modo?

«Studi più approfonditi hanno rivelato che l'attività antitumorale del composto si basa principalmente sul blocco del ciclo cellulare e sull'induzione della senescenza, una condizione che “addormenta” le cellule e ne impedisce la proliferazione. Questa molecola ha inoltre mostrato un’attività ad ampio spettro contro diverse linee cellulari positive al HPV, derivanti sia dal carcinoma della cervice uterina sia dal distretto testa-collo. La regione proteica di E6 che interagisce con l’inibitore è infatti altamente conservata tra i genotipi di HPV ad alto rischio».

 

Come intendete portare avanti il vostro lavoro durante quest’anno?

«Il composto identificato ha un’attività sinergica con i farmaci chemioterapici usati più frequentemente nel trattamento del cancro della cervice uterina. Considerata l’importanza di utilizzare combinazioni di farmaci per far fronte alla complessità del tumore, quest’anno vogliamo studiare nei dettagli l’attività antitumorale di nuovi composti e loro combinazioni, in quanto potenziali candidati per lo sviluppo di nuove terapie. In sintesi, la strategia è quella di degradare la proteina virale target E6 e bloccare alcune interazioni che coinvolgono E6 e E7 nelle loro attività di sviluppo tumorale».  

 

Marta, come potranno essere utili i vostri risultati in campo terapeutico?

«I nostri dati dimostrano che è possibile bloccare l'interazione diretta tra E6 e p53 mediante l’utilizzo di piccole molecole e questo determina un'attività antitumorale specifica in cellule cancerose positive al Virus del Papilloma umano. Questa osservazione apre la strada allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici antitumorali, in grado di curare i carcinomi correlati all’infezione del HPV, ma anche di prevenire la progressione delle lesioni precancerose in pazienti HPV-positivi. Inoltre, le regioni di E6 e E7 che interagiscono con composti in esame, sono altamente conservate tra i Papillomavirus ad alto rischio: quelle molecole sono quindi candidati ideali come farmaci ad ampio spettro contro diversi ceppi di HPV».

 

Sei mai stata all’estero per una esperienza di ricerca?

«Non ho avuto la possibilità di fare esperienze all’estero, purtroppo. Mi sarebbe piaciuto molto e penso che il momento migliore sarebbe stato durante il dottorato o nel post-dottorato».

 

Marta, qual è stato il momento in cui hai capito che la scienza poteva essere la tua strada?

«Non so se è stato proprio allora, ma ricordo di essere rimasta affascinata dallo studio della genetica in quarta superiore. Penso di aver scelto la strada della ricerca per la mia curiosità di comprendere come funzioniamo a livello microscopico».

 

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Mi vengono in mente la curiosità, il desiderio di capire, di scoprire e di conoscere».

 

Qual è la motivazione che ti spinge a fare ricerca e dà un significato profondo alle tue giornate lavorative?

«La possibilità e la speranza di contribuire “al mare” delle conoscenze scientifiche, anche solo con “una goccia” del mio lavoro».

 

In cosa, secondo te, la scienza e la comunità scientifica possono migliorare?

«Penso che la scienza possa migliorare sé stessa favorendo il lavoro di squadra, senza rivalità e competizione, verso il raggiungimento di un risultato comune per il bene di tutti».

 

E in che modo, invece, potrebbe essere aiutato il lavoro degli scienziati?

«Credo che il lavoro di chi fa scienza dovrebbe essere maggiormente riconosciuto e valorizzato».

 

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Penso che ultimamente in ambito scientifico - ma non solo - venga data troppa credibilità alle opinioni di persone non addette ai lavori. I principali problemi sono la scarsa informazione, il qualunquismo e l’atteggiamento demagogico di chi riveste ruoli istituzionali».

 

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«A coloro che scelgono di donare, non si può che dire grazie: hanno capito quanto sia importante la ricerca scientifica per lo sviluppo e il progresso di un Paese e per raggiungere condizioni di vita migliori. Grazie alle loro donazioni, molti ricercatori possono continuare a dedicare la loro vita lavorativa a quello in cui credono. Solo in questo modo, molti progetti di ricerca possono andare avanti e raggiungere traguardi importanti».


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