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Neuroscienze
Redazione
pubblicato il 06-12-2011

Nasciamo e la musica è già in noi



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Esperimento su 18 neonati di pochi giorni: al sentire Bach o Mozart si attiva l'emisfero destro, al sentire note dissonanti l'emisfero sinistro. La sintassi della musica sembrerebbe già scritta nei neuroni

Nasciamo e la musica è già in noi

Esperimento su 18 neonati di pochi giorni: al sentire Bach o Mozart si attiva l’emisfero destro, al sentire note dissonanti l’emisfero sinistro.  La «sintassi» della musica sembrerebbe già scritta nei neuroni

Prendete un neonato di pochi giorni, fategli ascoltare Mozart o Bach e nel suo cervello si “accenderà” la stessa zona dell’emisfero destro che si attiva in noi adulti già avvezzi alla musica. Alterate gli stessi pezzi degli stessi autori così da creare dissonanza e nel piccolo cervello del bimbo appena nato entrerà in azione l’emisfero sinistro con le zone che ricevono gli impulsi uditivi. E’ la differenza che si evidenzia anche in noi grandi di fronte a melodia, ritmo, oppure rumore.

L’esperimento è stato condotto da una neuroscienziata dell’Università San Raffaele di Milano, Daniela Perani, su 18 neonati di 1-3 giorni, con l’avvertenza di sceglierli tra bimbi non esposti a musica durante i mesi nel grembo materno, e impiegando l’innocua risonanza magnetica funzionale per “vedere” le zone cerebrali che via via entravano in attività.

TRA MELODIA E RUMORE - I risultati che cosa dimostrano? «Che alla nascita il nostro cervello è già predisposto a ricevere e interpretare la musica, distinguendola dagli altri suoni», risponde la professoressa Perani. Poi dipenderà dall’abitudine all’ascolto e allo studio la via via più articolata strutturazione delle aree cerebrali preposte per una più sensibile comprensione delle note d’autore.

NON SOLO BACH, ANCHE VASCO - L’esperimento ha utilizzato soltanto con la “nobiltà” della musica classica occidentale. Ma un Vasco Rossi, per esempio, che risultati darebbe? Musica o puro rumore la musica moderna per un cervellino vergine? Daniela Perani sorride: «No, anche con Vasco Rossi o altri cantanti di oggi si attiverebbero quelle zone dell’emisfero destro, perché si tratta comunque di musica consonante, non dissonante».

SUONI E PAROLE - Il passaggio all’area cerebrale sinistra preposta all’udito avviene, spiega la scienziata, quando si spezza «la sintassi della musica». E’ questa particolare organizzazione delle note che il nostro cervello appare già predisposto a cogliere e interpretare. La parola “sintassi” evoca un altro studio di cui ha riferito alla recente conferenza veneziana di The Future of Science il professore Andrea  Moro, docente di Linguistica generale allo Iuss di Pavia. Mostrando anch’egli varie sequenze di brain imaging ha sostenuto l’ipotesi che si nasca con aree cerebrali capaci di interpretare la sintassi del linguaggio umano, quella «trama nascosta» che in ogni lingua trova un senso o no alle parole messe in successione lineare. Secondo questa ipotesi, dunque, sostenuta anche da altri scienziati, il linguaggio non sarebbe solo una costruzione culturale arbitraria, ma sarebbe già inscritto nel suo nucleo nella nostra biologia. Al pari della musica, perciò. Ma se sull’”utilità” del linguaggio è più facile convenire, qual è la necessità della musica per la sopravvivenza della specie tale da indurre la natura a inscrivere i suoi principi addirittura nel Dna? Questa è la grande domanda che resta ancora aperta.

Serena Zoli


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