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Oncologia

Dai microRNA nuovi biomarcatori per i gliomi pediatrici

Identificare piccole molecole come marcatori non invasivi per migliorare la diagnosi e il monitoraggio dei gliomi pediatrici a basso grado. La ricerca di Federica D’Antonio per personalizzare i trattamenti, prevedere il rischio di progressione e migliorare la qualità di vita dei pazienti

Nello studio dei gliomi pediatrici, si apre una nuova frontiera grazie alla ricerca sui microRNA e il DNA tumorale circolante che potrebbero rivoluzionare la diagnosi e il trattamento di questi tumori. La dottoressa Federica D’Antonio, neuro-oncologa dell'Ospedale Bambino Gesù di Roma e vincitrice di un finanziamento di ricerca di Fondazione Veronesi, è in prima linea in questo fronte, concentrando i suoi studi sui gliomi pediatrici a basso grado, i tumori cerebrali più comuni nei bambini. In particolare, mira all'identificazione di biomarcatori non invasivi per migliorare la diagnosi, la prognosi e il monitoraggio in modo da migliorare le prospettive terapeutiche e la qualità di vita dei pazienti.

Federica, ci spieghi il contesto in cui nasce la tua ricerca?

I gliomi pediatrici a basso grado sono i tumori cerebrali più frequenti nei giovani pazienti e la chirurgia rappresenta il trattamento standard. Tuttavia, in alcuni casi circa la metà dei pazienti va incontro a progressione della malattia, rendendo necessarie terapie adiuvanti. Attualmente, non esistono biomarcatori affidabili per predire il rischio di progressione dopo un intervento parziale e, a volte, il prelievo della biopsia può essere problematico. Da qui, nasce la necessità di trovare metodi non invasivi per la diagnosi e il monitoraggio della malattia. 

In cosa consiste la tua ricerca?

Il mio studio si propone di caratterizzare i profili di espressione dei microRNA (piccole molecole di RNA) nel plasma di pazienti pediatrici con gliomi a basso grado, al fine di identificare marcatori prognostici utili al comprendere il rischio di progressione. Inoltre, analizzeremo il DNA circolante, ovvero il DNA rilasciato dalle cellule tumorali, con l’obiettivo di valutare la malattia minima residua, monitorare la risposta ai trattamenti e comprendere meglio l’evoluzione della malattia nel tempo. I risultati verranno integrati con dati clinici e molecolari per sviluppare un modello informatico capace di prevedere le forme del tumore più aggressive.

La tua carriera è stata arricchita da esperienze di ricerca all'estero. Cosa ti ha spinta a lasciare l'Italia?

Sì, ho avuto due esperienze di ricerca all'estero: una di quattro mesi presso l'Hospital Clínico di Valencia e un'altra di sei mesi in Oncologia Medica presso l'Università di Anversa. Ciò che mi ha spinto a partire è stata la curiosità di osservare diversi approcci metodologici e organizzativi, con l’obiettivo di ampliare le mie prospettive e migliorare la mia formazione attraverso il confronto con altri professionisti. Inoltre, desideravo valutare se le pratiche adottate in Italia potessero essere ottimizzate integrando strategie apprese all'estero.

Cosa ti hanno lasciato queste esperienze?

Sono state estremamente formative. Dal punto di vista professionale, ho acquisito una maggiore apertura mentale e capacità di adattamento, oltre a competenze tecniche e organizzative che hanno arricchito il mio percorso. Sul piano personale, queste esperienze mi hanno permesso di sviluppare una maggiore autonomia e una più profonda consapevolezza del mio ruolo nel contesto internazionale. Tuttavia, sebbene le mie esperienze all’estero siano state di breve durata, hanno comunque presentato alcune sfide, come l’adattamento a un nuovo ambiente lavorativo e culturale. Inoltre, il legame con il proprio paese rimane sempre forte: l’Italia mi è mancata, sia per gli affetti che per le abitudini e gli aspetti culturali che fanno parte della mia identità.

Perché hai scelto di intraprendere la strada della ricerca?

Ho intrapreso la strada della ricerca spinta dalla curiosità di comprendere i meccanismi biologici che regolano la vita e la malattia. Studiando medicina e specializzandomi in oncologia, questo interesse si è focalizzato sui processi molecolari dei tumori. Fin dall’università, osservando i pazienti, ho sentito il bisogno di approfondire ogni aspetto, perché solo attraverso la comprensione potevo trasformare la conoscenza in un vero strumento di cura.

Qual è il momento più bello e quello più difficile della tua carriera?

Il periodo più difficile è stato durante la pandemia di COVID-19, quando ho lavorato in prima linea con i miei colleghi a Milano. Ci sono stati momenti terribili. I momenti di soddisfazione sono tanti, dall'ingresso a Medicina al dottorato. Tuttavia, non ne sceglierei uno in particolare, perché credo che la felicità risieda nei piccoli traguardi quotidiani, e ogni passo avanti merita di essere celebrato.

Come ti vedi tra 10 anni?

La propria inclinazione deve avere la fortuna di incontrare l'opportunità. In questo, sono sempre stata molto fortunata e spero di continuare a esserlo. Fra dieci anni mi vedo come una figura ibrida tra clinica e ricerca: un oncologo medico, spero pediatrico, che si divide tra l’attività clinica alla quale non potrei mai rinunciare e il laboratorio. Mi auguro di essere sempre entusiasta e curiosa, con la stessa passione che mi guida oggi.

Cosa ti affascina di più della ricerca?

Gli stimoli che mi dà: è una sfida continua, in cui ogni problema richiede una soluzione diversa. Ogni giorno è un'opportunità per imparare e scoprire.

Cosa ti viene in mente se ti dico "scienza e ricerca"?

Scienza e ricerca mi fanno subito pensare a Rita Levi-Montalcini, il suo impegno, la sua curiosità inesauribile e la sua visione della ricerca come un processo sempre imperfetto, ma proprio per questo il più grande stimolo per la conoscenza e per il cambiamento del mondo.

Nel tuo lavoro chi ti ha ispirato e perché?

Si dice sempre che si cresce sulle spalle dei giganti, e io, nella mia ancora breve carriera, mi considero molto fortunata. Non c’è una sola persona che mi ha ispirato, ma tante, ognuna fondamentale in una diversa fase del mio percorso. Ciascuna mi ha insegnato qualcosa non solo su ciò che voglio essere, ma a volte anche su ciò che non voglio essere. Inoltre, sono state esempio concreto di dedizione, passione, lavoro instancabile ed entusiasmo di migliorarsi continuamente.

Cosa ti motiva ogni giorno nel tuo lavoro?

Se avessi risposto a questa domanda un paio di anni fa, avrei detto che la passione e la curiosità sono ciò che mi spinge a fare ricerca, in quanto sono gli aspetti che mi divertono e mi motivano. Questo rimane ancora vero, ma lavorare nell' ambito dell'oncologia pediatrica ha portato una consapevolezza diversa di quanto la nostra ricerca possa fare la differenza per i piccoli pazienti, che affrontano sfide enormi.

Inoltre, mi commuove profondamente vedere pazienti e famiglie affrontare la sofferenza con una dignità e una serenità straordinarie. La loro capacità di vivere il dolore con contenimento, senza perderne la forza, mi tocca sempre. C'è qualcosa di incredibilmente potente in questa resistenza silenziosa.

Oltre a fare il medico e la ricercatrice, cosa ami fare?

Amo molto lo sport e durante il periodo estivo, insieme ad alcuni colleghi, abbiamo fondato un’associazione chiamata "Surf for Children", con l'obiettivo di offrire ai bambini affetti da tumore l’opportunità di praticare il surf, un’esperienza che si rivela tanto divertente quanto significativa.

Un ricordo a te caro di quando eri bambina?

Un ricordo che mi è molto caro risale alle estati trascorse al mare con mio fratello gemello, i miei cugini e la mia famiglia. Erano giornate spensierate e felici, piene di giochi, risate e momenti di condivisione.

Hai un film che più ti rappresenta?

Kung Fu Panda è davvero un film che può rappresentare molti aspetti della vita. La crescita di Po, il suo viaggio di auto scoperta, e la sua determinazione nonostante le difficoltà sono lezioni che risuonano profondamente. Il messaggio che, anche nei momenti di incertezza, ogni individuo ha dentro di sé il potenziale per diventare qualcosa di grande, è veramente potente.

Chi vorresti incontrare nella vita?

Incontrare Steve Jobs sarebbe stata un'opportunità straordinaria. Mi sarebbe piaciuto chiedergli della sua visione sull'innovazione e come immaginava il futuro della tecnologia. Vorrei sapere come affrontava le sfide e le difficoltà che nascono quando si cerca di cambiare il mondo, e come, partendo da un semplice garage, ha creduto nella sua visione, trasformando radicalmente la tecnologia e il nostro modo di vivere.

Perché è importante donare a sostegno della ricerca scientifica?

Donare a sostegno della ricerca scientifica è fondamentale, soprattutto in oncologia pediatrica, dove molti tumori aggressivi restano ancora senza cura. In questo campo, ci sono aree inesplorate in cui la scienza ha ancora molto da scoprire. Senza un adeguato supporto economico, il progresso rischia di essere lento, lasciando troppe famiglie senza risposte. La ricerca è l'unica via per fare la differenza. Ogni nuova scoperta e innovazione terapeutica ha il potenziale di cambiare la vita di un bambino. Un bambino che guarisce non è solo un paziente salvato, ma una vita che riprende il suo cammino, ricca di sogni e speranze.

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

Vorrei dire loro un enorme grazie. Ogni gesto, anche il più piccolo, ha un grande valore. Quello che per qualcuno può sembrare un aiuto minimo, per la ricerca è un contributo fondamentale che può fare la differenza. Tante piccole gocce, infatti, si uniscono per formare un mare di speranza, e ogni donazione è un passo in più verso soluzioni concrete. Grazie a chi sceglie di sostenere la ricerca, perché senza il loro impegno, il progresso sarebbe impossibile.

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