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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 15-10-2014

Brca: il test genetico può predire il rischio di tumore della prostata?



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Identificare la mutazione, insieme al dosaggio del Psa, ha portato alla scoperta della neoplasia in un campione di uomini over 40

Brca: il test genetico può predire il rischio di tumore della prostata?

Se ne dibatte da anni, senza che si sia ancora arrivati a una certezza condivisa. Il test del Psa - in grado di dosare un antigene specifico della prostata - non rientra tra le procedure di screening per la prevenzione primaria del tumore più diffuso tra gli uomini occidentali, ma il dibattito sulla sua efficacia è tutt’altro che concluso. E se fosse giunto il momento di effettuarlo su tutti gli uomini che portano una mutazione di uno dei due geni Brca?

QUALE RELAZIONE?

Sebbene si sappia da diversi anni che le mutazioni a carico di questi due geni - più noti per il loro ruolo nell’insorgenza delle forme ereditarie di tumore al seno e alle ovaie, oltre che al pancreas e del melanoma - possano aumentare il rischio di sviluppare l’adenocarcinoma della prostata, nessuno s’era finora preoccupato di accendere il dibattito a riguardo. A lanciare il sasso nello stagno, adesso, sono stati oltre quaranta ricercatori, coinvolti nello studio Impact, e autori di una pubblicazione diffusa attraverso le colonne della rivista della Società europea di urologia. Dopo aver campionato, per un anno in 62 centri, 2481 uomini di razza bianca di età compresa tra 40 e 69 anni - mettendo a confronto i portatori di mutazioni dei geni Brca 1 e 2 con i rispettivi “controlli” -, oncologi, genetisti e medici di laboratorio hanno sottoposto tutti i soggetti dello studio al dosaggio dell’antigene specifico. Coloro che hanno rivelato un valore del parametro superiore a tre nanogrammi per millilitro di sangue sono stati sottoposti a una biopsia della prostata. Risultato: dall’abbinamento del test genetico con il dosaggio dell’antigene prostatico sono venute fuori 59 diagnosi di neoplasia. «E tutte di natura piuttosto aggressiva - afferma Riccardo Valdagni, direttore del programma prostata dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, coinvolto nella ricerca -. Mettendo assieme i dati, abbiamo individuato i carcinomi più pericolosi in un target abbastanza giovane. Uno screening sugli uomini di età compresa tra i 40 e i 50 anni permetterebbe di scoprire le forme giovanili del tumore alla prostata, che sono poi quelle legate alla mutazione dei geni Brca, ancora asintomatiche».

TUMORE DELLA PROSTATA: QUANDO
SI PUO' EVITARE L'INTERVENTO? 
 

 TEST GENETICO: SI' O NO?

Lo studio ha confermato il ruolo giocato da questi geni nell’insorgenza di un cancro tutto maschile. Tra le due mutazioni, più aggressive sono risultate quelle a carico del Brca 2, come già dimostrato da una ricerca pubblicata sul British Journal of Cancer un mese fa. Da qui la proposta: perché, una volta validati i risultati e in attesa di individuare altri marcatori, non valutare l’estensione del test genetico per i geni Brca - diffusosi a tappeto dopo la scelta di Angelina Jolie di ricorrere alla mastectomia preventiva - anche agli uomini che annoverano in famiglia casi di tumori al seno o alle ovaie? «Sarebbe un passaggio opportuno ed efficace per identificare chi rischia di sviluppare l’adenocarcinoma della prostata in età giovanile - spiega Maria Adelaide Caligo, coordinatore del centro di genetica oncologica dell’azienda ospedaliero-universitaria di Pisa -. Tra gli uomini c’è ancora una scarsa consapevolezza del ruolo che queste variazioni possono giocare nell’insorgenza della neoplasia. Molti di essi scoprono di esserne portatori soltanto a seguito di una diagnosi di tumore al seno in una figlia. E cadono dalle nuvole quando apprendono che quella mutazione può essere stata trasmessa da loro alla paziente, e non dalla mamma».



Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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