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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 02-07-2019
aggiornato il 06-07-2020

«Con l'immunoterapia ho imparato a convivere con il melanoma»



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La storia di Antonio Emione, da sei anni alle prese con un melanoma metastatico. Negli ultimi mesi, grazie all'immunoterapia, la malattia è regredita

«Con l'immunoterapia ho imparato a convivere con il melanoma»

Una storia lunga sei anni. Un melanoma alla coscia scoperto e rimosso nel 2013. La chemioterapia. La malattia che torna a fare capolino nel 2017, con due metastasi cerebrali: quanto di peggio possa accadere in una persona colpita dal più aggressivo tumore della pelle. Da qui, nel volgere di poche settimane, Antonio Emione si ritrova sulla sedia a rotelle. «Paura? Be’, a quel punto era difficile non averne», ricorda oggi l’uomo al Magazine di Fondazione Umberto Veronesi. Il cancro, impossibile da rimuovere per intero dal cervello, sembra «spegnerlo» giorno dopo giorno. La scelta di giocarsi la carta dell’immunoterapia, premiata con il Nobel per la Medicina nel 2018, sta però dando i risultati sperati. «Un residuo di malattia a livello cerebrale c’è ancora, ma siamo riusciti ad arrestarne la progressione», afferma Paolo Ascierto, direttore dell’unità di oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli. Secondo lo specialista, che da anni ha in cura Antonio, «la risposta alle cure è eccezionale: con la risonanza magnetica si osserva pure una regressione della malattia».

COME FUNZIONA L'IMMUNOTERAPIA? 

L'ULTIMA FRONTIERA DELLA LOTTA AL CANCRO

Negli ultimi dieci anni la lotta al cancro è stata rivoluzionata dall'immunoterapia. Nessuno dei pazienti a cui era stato diagnosticato un melanoma metastatico prima del 2011 - due anni prima che il nostro «testimone» scoprisse di avere il tumore - è ancora vivo. Oggi, invece, la metà di loro ha una prospettiva di vita pari a un lustro. La storia di Antonio, 80 anni compiuti il 5 giugno, ne è una riprova. Il suo melanoma, tenuto sotto controllo nei primi due anni e mezzo con le terapie a bersaglio molecolare, ha ripreso a «marciare» due anni fa con diverse metastasi cerebrali. Tra giugno e novembre del 2017, l’uomo è stato sottoposto a due interventi neurochirurgici. Ma dopo il secondo, a causa di un residuo di malattia presente nella corteccia motoria, si è ritrovato sulla sedia a rotelle. E con evidenti disturbi del linguaggio. A quel punto l'equipe composta da oncologi, radioterapisti e neurochirurghi ha capito che c'era una sola carta da giocarsi: l’immunoterapia. «Ricordo bene il momento in cui abbiamo dato l'ok agli specialisti - dichiara Michelangelo, uno dei due figli di Antonio -. È toccato a noi, in quei giorni, condividere la decisione con loro. Sapevamo che era ciò che avrebbe voluto papà, che si è sempre fidato dei medici con cui ha avuto a che fare in questi anni».


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UN CASO EMBLEMATICO

A febbraio del 2018, Antonio ha iniziato il trattamento mensile con nivolumab. Una sola infusione, abbinata a a una dozzina di sedute di radioterapia panencefalica, è stata sufficiente per rimetterlo in piedi. «Sulla carta, lo scenario di questi pazienti è il peggiore - prosegue Ascierto, che nel suo centro ha visto passare oltre tremila pazienti, dal 2006 a oggi -. La presenza di metastasi cerebrali e la progressione dopo il trattamento con i farmaci a bersaglio molecolare riducono le probabilità di successo dell’immunoterapia». Ecco perché questo caso, per gli specialisti, è emblematico. Sembra esserne consapevole anche Antonio, residente a Caivano, centro di medie dimensioni a metà strada tra Napoli e Caserta. L'uomo, in questi mesi, ha riscoperto il piacere di vivere: si occupa dei nipotini e del giardino di casa, si diletta nella lettura dei quotidiani e nelle prossime settimane tornerà al mare per le vacanze. «La malattia c’è ancora, ma non mi aspettavo un esito simile delle cure - racconta Antonio, in pensione dal 1994 dopo una carriera tra le fila di una multinazionale statunitense -. Effetti collaterali? Dopo le cure, per uno o due giorni, avverto un po’ di prurito e stanchezza. Nulla o quasi, però, in confronto alla chemioterapia. E rispetto al destino toccato a tanti altri pazienti nelle mie stesse condizioni, che oggi non hanno modo di raccontare la loro esperienza».  

LA (TANTA) STRADA DA PERCORRERE

Credere e supportare l’innovazione è quanto serve, per fare in modo che le storie come quelle di Antonio possano crescere nei numeri. «Il cinquanta per cento dei pazienti non risponde ancora all’immunoterapia - chiosa Ascierto -. Sostenere la ricerca è il primo passo per ridurre questa quota. Abbiamo la necessità di ampliare il ventaglio delle possibili opportunità terapeutiche. L’immunoterapia di precisione è ciò di cui abbiamo bisogno per rendere la malattia cronica in una quota sempre crescente di malati». Antonio annuisce, dopo aver ascoltato più volte queste parole. «A questo punto, ho un solo desiderio: vivere bene il più a lungo possibile, per vedere crescere ancora i miei figli e i tre nipoti».

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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