Anche i bambini possono contrarre l'infezione da Coronavirus, ma i sintomi che sviluppano sono inferiori rispetto a quelli di adulti e anziani
Può colpire anche i bambini. Ma i nostri figli sembrano i più «forti» al cospetto del Coronavirus. Nel corso dell’emergenza sanitaria più grave dell’ultimo secolo, c’è anche qualche notizia meno drammatica. A ormai tre mesi dallo scoppio del primo focolaio epidemico in Cina, è un dato di fatto che i più piccoli sono sia i meno contagiati sia coloro che rischiano meno di tutti di sviluppare le complicanze più gravi dell’infezione. Ovvero la polmonite interstiziale, che nelle forme più avanzate richiede il ricovero in terapia intensiva. «Tra le poche certezze disponibili, possiamo dire che il Covid-19 non è un’emergenza pediatrica», afferma Alberto Villani, presidente della Società Italiana di Pediatria.
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Su oltre 69mila contagi, quelli che hanno riguardato i più piccoli nel nostro Paese sono meno di 400: lo 0.05 per cento del totale. Nessun decesso si è registrato nella fascia d’età compresa tra 0 e 9 anni, così come anche nella successiva (10-19 anni). Un buon segno, che «deve rasserenare genitori e nonni», per dirla con l’esperto, che guida il reparto di pediatria generale e malattie infettive dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. Ciò non toglie che, se ci sono dei sintomi, «si deve consultare il proprio pediatra per decidere il da farsi. L’ospedale? È un’ipotesi da considerare soltanto nei casi più gravi, comunque non in prima battuta». Nei bambini l’infezione da Coronavirus si manifesta con gli stessi sintomi rilevabili in adulti e anziani. E quindi: febbre, tosse, respiro affannoso, dolori ossei e muscolari, anosmia (perdita del gusto e dell’olfatto). È la loro gravità, nella maggior parte dei casi, a risultare attenuata.
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BAMBINI COLPITI CON SINTOMI MENO GRAVI
Oltre alla casistica italiana, c’è anche quella cinese a documentare l’evoluzione della malattia tra i bambini. Il più ampio studio finora condotto sulla popolazione pediatrica, pubblicato sulla rivista Pediatrics, ha scattato l’istantanea al momento più nitida delle infezioni registrate nei bambini. Nella ricerca ne sono stati coinvolti oltre 2.100 con un'età media di 7 anni, 700 dei quali con una diagnosi di Covid-19 confermata dagli esami di laboratorio. Negli altri casi, invece, ci si è limitati a raccogliere gli eventuali sintomi, l’esito degli esami del sangue e delle radiografie del torace e la vicinanza ad adulti infetti. Circa la metà dei bambini ha accusato sintomi lievi (febbre, affaticamento, tosse, congestione e diarrea), mentre più di un terzo ha sviluppato una polmonite caratterizzata però da ridotte (o nulle) difficoltà respiratorie. Nel 6 per cento dei casi i bambini hanno invece sviluppato forse gravi di Covid-19. Su 125 pazienti, 13 hanno richiesto il ricorso a cure intensive. Secondo Shilu Tong, direttore del dipartimento di epidemiologia clinica e biostatistica al Shanghai Medical Medical Center e coordinatore dello studio, «i bambini di tutte le età sembrano suscettibili all’infezione, che spesso però si manifesta con sintomi meno gravi rispetto a quanto si osserva negli adulti».
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DIVERSE LE IPOTESI ALLO STUDIO
Come si può spiegare quanto osservato? Una risposta certa non c’è. Ma quanto si sta vedendo nei confronti dell’infezione da Sars-CoV-2 non è poi così diverso da quanto registrato all'epoca delle epidemie di Sars e Mers in Medio Oriente. Le possibili spiegazioni delle maggiori difese di cui sembrano godere i bambini sono diverse: da una migliore salute dei polmoni alla vicinanza con le vaccinazioni, aspetto che potrebbe rendere più efficiente la risposta immunitaria in caso di contagio. Un’altra ipotesi è che nei bambini piccoli il recettore ACE2 - a cui si legherebbe il virus per entrare nelle cellule - sarebbe meno esposto. Secondo Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia e terapia cellulare e genica dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma, non è da escludere «che il sistema immunitario dei bambini riconosca qualsiasi patogeno come nuovo» e, dopo nove mesi trascorsi in un ambiente protetto (l'utero), «sia più pronto a difendersi da qualsiasi insidia».
ATTENZIONE AI NEONATI
A difendere i più piccoli, dunque, sarebbe una «loro caratteristica intrinseca», per riprendere quanto dichiarato dal presidente del comitato tecnico-scientifico per l’emergenza Coronavirus. Maggiore attenzione deve però essere posta quando a manifestare i (possibili) sintomi dell'infezione da Coronavirus sono i bambini con meno di un anno. Secondo quanto riportato nello studio cinese, infatti, in un decimo dei casi registrati tra i neonati si è assistito a un'evoluzione della malattia verso le forme più gravi. Meglio dunque essere ancora più accorti se il proprio figlio ha una febbre che non accenna a calare, manifesta difficoltà respiratorie, ha poca voglia di bere e molta di dormire. Nelle regioni del Nord Italia, più colpite dall'epidemia, al momento «contiamo cinque neonati infetti da Sars-CoV-2 - dichiara Fabio Mosca, presidente della Società Italiana di Neonatologia -. Tutti i contagi sono avvenuti con ogni probabilità nell'ambiente domestico. In quattro di questi casi la sintomatologia rilevata era piuttosto blanda, mentre un neonato è stato sottoposto a una trasfusione per un'anemia per cui non è stato possibile accertare la causa».
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BAMBINI «VEICOLO» DELL’INFEZIONE
A preoccupare maggiormente è la possibilità che i bambini (sintomatici e non) hanno di «veicolare» l’infezione ai genitori e, soprattutto, ai nonni. Un problema che si è posto soprattutto subito dopo i primi provvedimenti restrittivi adottati dal Governo, con la chiusura delle scuole, ma non dello stesso numero di attività che risultano ferme oggi. Questa situazione, soprattutto all'inizio, ha costretto molti genitori ad affidare i propri figli ai nonni. Una scelta da evitare però in questo momento, quella del contatto tra anziani e bambini. Questi ultimi potrebbero infatti essere contagiati dai propri nipoti. E, in caso di trasferimento dell’infezione ai nonni, le conseguenze del Coronavirus potrebbero essere ben più gravi.
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Fonti
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).