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Fabio Di Todaro
pubblicato il 25-05-2015

Nel mondo c’è chi ancora muore di appendicite



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La denuncia in un dossier pubblicato su Lancet: sei milioni di morti ogni anno dipendono dal mancato accesso alla chirurgia. L’emergenza è nei Paesi in via di sviluppo

Nel mondo c’è chi ancora muore di appendicite

C’è chi muore di troppo cibo e chi di parto, chi deve scegliere tra la laparoscopia e la chirurgia robotica e chi teme di non superare un intervento di appendicite. Sono cinque miliardi le persone che nel mondo non hanno accesso a sale operatorie efficienti e ad anestesie sicure, nel momento del bisogno. La fotografia è stata scattata da un gruppo di chirurghi in un dossier pubblicato su The Lancet.

 

CHIRURGIA DI SERIE A E DI SERIE B

Nella serie di documenti, vergati da un pool di 25 esperti di fama mondiale, s’è cercato di cristallizzare la disparità di trattamento e accesso alle cure esistenti tra gli Stati occidentali e i Paesi in via di Sviluppo. Le differenze sono evidenti. Nei vari documenti, gli specialisti affermano che un terzo dei 17 milioni di decessi osservati nel mondo nel 2010 è stato causato da condizioni curabili ricorrendo alla chirurgia. A farne le spese sono state le comunità più povere del pianeta, falcidiate anche dalle epidemie infettive: come Aids, tubercolosi e malaria. Dei 313 milioni di operazioni effettuate ogni anno in tutto il mondo, soltanto una su 20 riguarda i Paesi più poveri: abitati da più di un terzo della popolazione mondiale. «C’è un deficit di 143 milioni di procedure chirurgiche ogni anno nel mondo», hanno messo nero su bianco gli esperti.

 

SERVE UN IMPEGNO CONCRETO

Secondo Lars Hagander, docente di chirurgia pediatrica all’università svedese di Lund, «troppe persone stanno morendo a causa di condizioni abbastanza comuni, come l'appendicite, il travaglio e le fratture ossee». Il problema è particolarmente sentito nei Paesi dell'Africa sub-sahariana e del sud-est asiatico, dove secondo gli autori il 93% degli abitanti non ha accesso a una chirurgia di base adeguata. «La comunità mondiale non può continuare a ignorare questo problema - ha dichiarato Andy Leather, direttore del centro per la salute globale del King’s College di Londra -. L’accesso equo ai servizi chirurgici deve diventare una priorità, come già lo sono le cure per i tumori e le malattie cardiovascolari». Secondo i chirurghi i costi necessari ad adeguare la situazione nei Paesi più poveri sarebbero alti, ma mai quanto quelli che si genereranno rimandando ancora l’impegno. Il costo economico dell'immobilità globale nei confronti di questo aspetto della sanità arriverà, secondo i ricercatori del King's College, a 12 trilioni di dollari entro il 2030. La richiesta è quella di un investimento di 420 miliardi di dollari, in favore dei Paesi più poveri.

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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