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Redazione
pubblicato il 27-09-2012

Uscire dal coma sulle note di Chopin



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La musica aiuta il recupero neurologico dopo un incidente o un ictus. E’ una terapia utilizzata con Alzheimer, Parkinson, afasia, autismo. Gli esperti ora chiedono di essere riconosciuti

Uscire dal coma sulle note di Chopin

Anna ha 30 anni e per 3 mesi è stata in coma dopo essersi schiantata con l’auto. Ha aperto gli occhi, ma non può parlare. Allontana bruscamente i terapisti, è perfino violenta, tanto da mandare un operatore al pronto soccorso. Rifiuta tutto e tutti, finché arriva un pianoforte. Alle prime note osserva con interesse. Prova a pigiare un tasto, la terapista risponde, in una sorta di dialogo musicale. Il nome è di fantasia, ma la storia, verissima, è quella raccontata in un video, girato da Rita Formisano, neurologa e primario dell’unità postcoma dell’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, centro di rilievo nazionale e di alta specializzazione per la riabilitazione neuromotoria.  Il filmato è stato mostrato in occasione del terzo Congresso Mondiale di Neuromusicologia Clinica, che si è tenuto a Brescia. Il filmato finisce con un primo piano di Anna che sorride, per la prima volta.

APRE LA STRADA ALLE ALTRE TERAPIE - «Dopo questa scena, la mia terapista è venuta da me con un sorriso a 32 denti» racconta con emozione Rita Formisano. «Davvero con Anna nulla pareva funzionare». Le fasi di risveglio dal coma sono complesse: «Lo stato vegetativo, con il paziente che apre gli occhi ma non è consapevole di sé e del mondo esterno, può essere seguito da uno stato di minima coscienza – spiega Formisano -. Magari il paziente apre la mano di tanto in tanto, segue con lo sguardo, sorride o piange in presenza dei familiari». Il «risveglio» c’entra poco con l’immagine edulcorata e cinematografica che spesso abbiamo in mente. «Questo tipo  di paziente ha complicanze mediche come febbre, dolore articolare, infezioni, sindrome da immobilità prolungata, tutte condizioni che fanno sì che sia poco collaborativo, apatico, a volte aggressivo. Non sempre le terapie tradizionali sono efficaci, dalla mia esperienza di quasi 30 anni se il paziente ha un malessere, lo fa capire: con grida, con la mimica facciale, fa resistenza alle proposte del fisioterapista o del terapista del linguaggio. In questi casi la musica può vincere le resistenze». 

MAGIA? NO, SOLO RITMO - «La musica non è un miracolo, è un’opzione in più a nostra disposizione» precisa Rita Formisano. Con la musica si trattano bambini, adulti e anziani, con disabilità fisiche e mentali, dello sviluppo e dell’apprendimento, con malattie dell’invecchiamento come l’Alzheimer, con tossicodipendenza, traumi cerebrali, dolore cronico e acuto. Va detto che l’ambito neurologico è quello in cui più si sono dimostrati i benefici delle sette note. In tutto il mondo sono stati condotti studi che hanno «fotografato» con risonanza magnetica o altre tecniche di neuroimaging l’effetto della musica sul cervello, dopo malattie neurologiche o neurodegenerative. Più spesso si è dato conto dei risultati empirici, ovvero dei passi avanti dei pazienti. «Piccoli cambiamenti, un sorriso, un rifiuto, manifestazioni importanti su una scala clinica poco misurabile col linguaggio della evidence based medicine (anche perché separare l’intero progetto di riabilitazione dalla sola musicoterapia è difficile)».

Il convegno bresciano ha visto riunite le esperienze internazionali più interessanti, come quella di Ryo Noda, musicista e ricercatore dell'Università di Osaka, che combina ascolto e movimento nella rieducazione neuromotoria. Le musiche? Le più diverse, dalla sinfonia al jazz al folk. «Anche se partiamo sempre da quelle preferite dal paziente» racconta Noda.

SERVE UN RICONOSCIMENTO - Con il canto, con il piano, il flauto o un semplice tamburello, da soli o in gruppo, la musica pare riuscire laddove tante altre discipline si arenano, nell’infrangere il muro di silenzio e isolamento di chi vive la condizione di malattia. Ora serve dare uno statuto alla materia e un riconoscimento professionale agli operatori.  Ricorda Rita Formisano, che fa musicoterapia dai primi anni ’90: «Qui la figura del musicoterapeuta non è prevista, non può lavorare da solo con il paziente se non ha una qualifica parallela, come logopedista e fisioterapista. E’ un’attività complessa, richiede molto tempo, il coinvolgimento attivo dei familiari, uno staff competente. Ogni volta che abbiamo fondi tiriamo fuori il progetto dal cassetto e lo recuperiamo». Per il 2013 la Società di Neuro Musicologia Clinica ha previsto un programma formativo multidisciplinare per psicologi, logopedisti, fisioterapisti, medici e altri specialisti.

Donatella Barus


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