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Cardiologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 11-04-2019

Trapianti: ok a cuore e polmoni da donatori con l'epatite C



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Trapianti di cuore e polmone con organi prelevati da persone infette dall'Hcv sicuri, se si trattano subito i riceventi con gli antivirali di ultima generazione

Trapianti: ok a cuore e polmoni da donatori con l'epatite C

Oltre a curare l'epatite C, di cui nel mondo soffrono più di 70 milioni di persone, gli antivirali di nuova generazione si stanno rivelando farmaci interessanti anche in un altro campo della medicina: la donazione e il trapianto di organi. Al fine di ridurre la portata delle liste di attesa, diversi gruppi di ricerca stanno valutando l'opportunità di prelevare alcuni organi da persone decedute con un'infezione in corso da epatite C. La procedura, già testata con successo relativamente al rene e al fegato, ha fatto registrare il medesimo riscontro nel caso dei trapianti di cuore e polmone. A una condizione: quella di trattare i pazienti con gli antivirali per un mese, a partire dalle ore immediatamente successive al trapianto.

COME AUMENTARE LE PROBABILITA'
DI SUCCESSO DI UN TRAPIANTO? 

PRIMI RISCONTRI INCORAGGIANTI

Il riscontro giunge dai dati di uno studio preliminare pubblicato sul New England Journal of Medicine, a cui hanno preso parte 35 pazienti. Un numero esiguo, ma necessario per valutare la sicurezza della procedura: un trapianto di cuore o di polmone effettuato grazie a organi prelevati da donatori affetti dalla malattia. Duplice l'obbiettivo: valutare l'eventuale trasmissione del virus e il funzionamento degli organi nei riceventi. L'esito, a sei mesi dall'intervento, è da considerare incoraggiante. «Nessun paziente ha sviluppato la malattia né visto compromessa la funzionalità dell'organo trapiantato», afferma Ann Woolley, infettivologa del Brigham and Women's Hospital di Boston. «L'infezione da Hcv ha rappresentato per anni un criterio per escludere la possibilità di prelevare gli organi da un donatore. Nel nostro studio abbiamo notato che la trasmissione del virus può avvenire, ma un breve ciclo di terapia antivirale è in grado di portare all'eliminazione dell'Hcv». Il tutto senza determinare una compromissione dell'organo: almeno non nei primi sei mesi successivi all'intervento.

 

LA RIVOLUZIONE DEI NUOVI FARMACI

Quattro settimane: tanto è durata la somministrazione degli antivirali nei pazienti sottoposti al trapianto. Un periodo inferiore rispetto a quello a cui si ricorre per curare l'infezione da epatite C coi nuovi farmaci (8-12 settimane), che stanno progressivamente prendendo il posto dell'interferone e della ribavirina, molecole che avevano successo in meno della metà dei casi e che si associavano a pesanti effetti collaterali che spesso costringevano a sospendere la terapia. Questa è stata la storia del trattamento dell'epatite C fino al 2010, anno in cui furono annunciati i primi risultati sull'utilizzo di una nuova categoria di molecole destinata a cambiare la storia della malattia: gli antivirali ad azione diretta, per l'appunto. Oggi, grazie all'utilizzo di questi farmaci, si riesce a eliminare definitivamente il virus in una percentuale che va dal 98 al 100 per cento, a seconda dei malati. Un risultato nemmeno immaginabile fino a qualche anno fa e grazie al quale è già stato possibile trattare oltre 170mila italiani.


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OPPORTUNITA' PER RIDURRE LE LISTE DI ATTESA

I risultati hanno spinto i ricercatori ad ampliare il numero dei pazienti coinvolti: giunti a 69. Una simile opportunità, se troverà conferma su un campione più ampio e per un periodo di tempo di maggiore durata, potrà essere presa in considerazione per ampliare il bacino dei donatori e contribuire così alla riduzione delle liste di attesa. Lungo la Penisola i dati, per quanto riguarda il cuore e polmone, sono stabili da un paio di anni. Alla fine del 2018, i connazionali in attesa di un cuore erano 716 (tempo medio: 3.4 anni), 313 di un polmone (2.6 anni). In calo invece il numero di trapianti effettuati: 233 per il cuore (265 nel 2017) e 143 per il polmone (144 nel 2017).

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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