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Laura Costantin
pubblicato il 04-06-2019

Dai lipidi una nuova strategia per le cure delle leucemie acute



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Alessandra Mancino studia i meccanismi che regolano l’espressione di un recettore presente sulle cellule leucemiche adulte. L'obiettivo è sviluppare un'immunoterapia contro i tumori del sangue

Dai lipidi una nuova strategia per le cure delle leucemie acute

Le leucemie sono tumori del sangue che derivano da una trasformazione maligna dei blasti, cellule staminali ancora immature, che normalmente sono in grado di differenziarsi per dare origine a globuli bianchi, rossi e piastrine. Nei pazienti leucemici queste cellule non completano il processo di maturazione, aumentano in maniera incontrollata e invadono, oltre che il midollo osseo, altri organi come milza, fegato e sistema nervoso centrale. Fino a poco tempo fa la chemioterapia e il trapianto di midollo osseo erano gli unici trattamenti disponibili per la cura delle leucemie acute.

Questi interventi, tuttavia, non sono sempre sufficienti ad arrestare la malattia, che può andare incontro a recidive. Nuove speranze arrivano oggi dall’immunoterapia e in particolare dall’utilizzo di linfociti T riprogrammati per eliminare in maniera selettiva le cellule tumorali. Grazie alle tecniche dell’ingegneria genetica è infatti possibile modificare i linfociti T del paziente o di un donatore in modo che esprimano sulla loro superficie dei recettori in grado di legarsi a proteine specifiche presenti sulle cellule leucemiche. Una volta infusi nel paziente, i linfociti T «addestrati» sono in grado di riconoscere le cellule malate ed eliminarle. Anche questo trattamento, tuttavia, presenta il rischio di ricadute e, nel caso di cellule provenienti da donatore, espone al rischio di rigetto. Superare questi problemi, aumentando la specificità dei linfociti T, è l’obiettivo della ricerca di Alessandra Mancino, biologa dell’Ospedale San Raffaele di Milano, sostenuta da Fondazione Umberto Veronesi.

 

Alessandra, vuoi raccontarci qualcosa di più sulla tua ricerca?

«Studi recenti del nostro laboratorio hanno dimostrato che le molecole riconosciute dai linfociti T per attaccare il tumore non sono solo di origine proteica ma possono essere anche di natura lipidica. Questo meccanismo è reso possibile dall’associazione tra i lipidi e un recettore, il CD1c, espresso nel 60 per cento delle cellule leucemiche».

 

Come pensate di sfruttare quindi questo nuovo meccanismo?

«Innanzitutto è possibile avvalersi di questa nuova via di riconoscimento utilizzata dal sistema immunitario per creare dei linfociti T specifici per il CD1c in grado di legarsi ed eliminare le cellule leucemiche che presentano questa molecola».

 

State studiando anche altre strategie per potenziare l’attacco al tumore?

«Sì, e in particolare abbiamo pensato di agire sul CD1 e studiare dei meccanismi per renderlo un bersaglio migliore. Il mio progetto ha come obiettivo di analizzare il Dna che codifica per il CD1 nelle cellule del sangue di donatori sani e di pazienti per valutare quali sono i fattori che contribuiscono alla regolazione dell’espressione di queste molecole».

 

Quali ricadute potrebbe avere la tua ricerca per la salute umana?

«La conoscenza dei meccanismi molecolari che controllano l’espressione del CD1 può portare allo sviluppo di farmaci che consentano di aumentare l’espressione di questa molecola nelle cellule leucemiche, così da renderle un bersaglio ancora più esposto. Questo tipo di farmaci aumenterebbe la specificità del trattamento e permetterebbe pertanto di superare gli attuali limiti attuali dell’immunoterapia, ovvero il rigetto delle cellule infuse e il rischio di ricaduta a lungo termine».

 

Alessandra, sei mai stata all’estero a fare ricerca?

«Sì, sono stata sei mesi a Monaco alla Biorad appena dopo la laurea e poi quasi tre anni tra Londra e Marsiglia dopo il dottorato».

 

Avrai compiuto molti sacrifici nel corso della tua carriera da ricercatrice. Cosa ti sostiene e ti spinge ad andare avanti nei momenti difficili?

«Sono sempre stata attratta dal perché delle cose e dalla voglia di sperimentare. Nel nostro lavoro non si smette mai di imparare e di allargare le proprie conoscenze, spinti dalla voglia di capire i meccanismi che governano quella straordinaria macchina che è l’uomo. Ogni ricercatore con il proprio lavoro contribuisce ad ampliare queste conoscenze e permette i progressi in ambito biomedico che sono stati raggiunti fino ad oggi».

 

E che cosa invece non ti piace della ricerca?

«Dover continuamente cercare dei fondi per finanziare i miei progetti. Credo che le istituzioni dovrebbero aiutare maggiormente la ricerca con maggiori sovvenzioni e con regolarizzando i contratti dei ricercatori».

 

Percepisci quindi un sentimento di avversione verso la scienza, in Italia?

«No, credo che le persone abbiano fiducia nella scienza e lo dimostra il fatto che tante persone partecipano attivamente e contribuiscono in modi diversi».

 

Parliamo ora un po’ di te. Cosa ti piace fare nel tempo libero?

«Amo leggere, in particolare thriller e polizieschi. Mi piace anche andare al cinema e, avendo fatto danza da ragazzina, andare a vedere il balletto».

 

Hai due bambini, di 2 e 6 anni. Cosa gli diresti se volessero fare il ricercatore?

«Appoggerei la loro scelta, in quanto penso che ognuno debba essere libero di scegliere il proprio lavoro per poterlo fare bene e con il giusto spirito. E comunque, nonostante le incertezze contrattuali, credo che quello del ricercatore sia davvero un lavoro molto entusiasmante oltre che importante».

 

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Sono molto emotiva, per cui mi commuovo facilmente anche solo davanti a un film in cui mi immedesimo e qualche volta anche davanti a un bel cartone animato».

 

C’è qualcosa che ti fa veramente arrabbiare?

«L’ipocrisia. Non potrei mai fare politica, il mio viso è un libro aperto e non riuscirei a dire di esser d’accordo quando non lo sono, così come non riesco a fare una cosa se non ne condivido i motivi».

 

E cosa invece riesce a farti ridere a crepapelle?

«La satira o una buona sit-com… ma anche la mia vita è piena di ironia!».



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