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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 13-03-2019

Ictus e pressione arteriosa: medici a caccia di risposte



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In presenza di ictus i valori della pressione arteriosa sembrano influire sulle possibilità di guarire. Lo stato dell’arte nella ricerca

Ictus e pressione arteriosa: medici a caccia di risposte

La pressione alta può provocare un ictus. Ma nei pazienti che già ne sono stati colpiti, non è detto che abbassare di molto i valori della pressione arteriosa possa essere un vantaggio. La giusta misura è ancora da comprendere, anche per i medici. Uno studio che arriva dall’Università della Georgia (Usa) ha trattato questo argomento, constatando che il 60 per cento di pazienti colpiti da ictus arrivati ai pronto soccorso americani risultavano ipertesi e alcuni studi mostravano che questo dato sembrava esporli a più alti tassi di morte e di pesante disabilità. Allora, abbassare tanto la pressione nella fase acuta? Attenzione: bisogna che il sangue abbia forza sufficiente per irrorare i tessuti cerebrali e non estendere così l’area in necrosi.

ICTUS CEREBRALE:
FARE PREVENZIONE E' POSSIBILE

UN DILEMMA CLINICO: CHE VALORE E’ GIUSTO?

«Questo è un vero dilemma clinico», osserva il capo-équipe della ricerca Changwei Li, epidemiologo e biostatistico. «Finora non ci sono linee-guida e i clinici nell’affrontare questa emergenza si basano sulla propria esperienza e sapienza». Una verità ufficiale dunque non c’è. Si ritiene che sia meglio abbassare la pressione fino a quei valori che di solito i medici ci indicano come margini da non sorpassare: 140/90. Questi livelli darebbero risultati migliori della classica pressione giusta: 120/80. Per cercare una indicazione il dottor Li e i suoi collaboratori hanno esaminato i casi di quattromila partecipanti a uno studio cinese sull’ipertensione e l’ictus. Un gruppo dopo l'ictus era stato sottoposto a un lungo trattamento contro la pressione alta, mentre l'altro (di controllo) non aveva ricevute cure del genere.

 

BUONI RISULTATI A QUOTA 140

Il professore dell’Università della Georgia ha condotto controlli sugli uni e sugli altri dopo una settimana in ospedale, poi dopo 3 mesi, dopo un anno e dopo due anni. Alla fine i dati raccolti dai quattromila hanno detto che la pressione sanguigna tenuta sui 140 mmHg ha indotto minori conseguenze negative, tipo un secondo ictus o disturbi cardiovascolari. «Un buon controllo della pressione ci è parso, infatti, che riduca la morte dei tessuti intorno al punto colpito, eviti danni alle arterie e dia benefici sul breve e sul lungo termine», ha dichiarato Changwei Li. «Allora questi nostri dati potrebbero essere una indicazione per i medici che devono affrontare un ictus? Un suggerimento, certo, ma sui valori pressori ideali occorrono altre conferme, su larga scala».

IL PARERE 

Valeria Caso, neurologa presso la Stroke Unit dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, concorda con i suggerimenti dell’Università della Georgia: «Nel caso dell’ictus ischemico mantenere la pressione un po’ più alta, diciamo 90/140, permette di irrorare il cervello. Tutti gli studi che sono stati fatti su interventi in fase acuta hanno mostrato che abbassando la pressione a valori normali non si hanno benefici». Ricordiamo che si sta parlando dei valori pressori da mantenere nelle persone colpite da ictus per aumentare le possibilità di recupero, non dei valori da mantenere in una persona sana che vuole ridurre il rischio di esserne colpita. Continua la dottoressa Caso: «Si sono esaminati malati colpiti da ictus, chi trattati e chi non trattati: gli esiti più negativi si sono avuti con la pressione sistolica da moderata a bassa. D’altro lato non possiamo neanche affermare che le cose stiano così. Siamo tutti alla ricerca del valore ottimale in un ictus acuto». Un dilemma clinico a tutte le latitudini, come dice il professor Li.

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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