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Neuroscienze

Lo stimolatore elettrico che cura l’emicrania

In diversi centri italiani sono in corso studi avanzati su un nuovo device per curare l’emicrania senza far ricorso ai farmaci. Soddisfacenti i risultati preliminari

Basterebbero pochi minuti, un tempo brevissimo, per bloccare il glutammato, un neurotrasmettitore fra i principali responsabili del mal di testa. Semplicemente appoggiando un nuovo device - uno stimolatore elettrico - sul nervo vago del collo. I primi promettenti risultati arrivano da una serie di studi, anche italiani. Il più recente, presentato al congresso di Philadelphia, è stato condotto dall’istituto Neurologico Carlo Besta di Milano e dall’Università di Torino.

 

IL NEUROTRASMETTITORE

È innovativo nelle dimensioni, grandi quanto un cellulare, e nel funzionamento (non richiede il posizionamento di nessun microchip sottocutaneo) lo stimolatore di ultima generazione in grado di spegnere i primi accenni di mal di testa, inviando al nervo vago del collo una o più scariche elettriche per attacco lunghe 90 secondi. Il tutto gestito in completa autonomia dal paziente che applica lo strumento nel punto dolente del collo e modula la stimolazione con un apposito regolatore interno allo strumento. Potrebbe essere questa la soluzione futura - oggi lo strumento è ancora in fase di sperimentazione - per bloccare l’attivazione del glutammato, un amminoacido che eccita l’insorgenza delle crisi di emicrania, battendole sul tempo. «Abbiamo testato questo strumento - spiega Licia Grazzi, fra i ricercatori coinvolti nello studio attuato al Besta - su una quarantina di pazienti, tra i 18 e i 65 anni, sofferenti di emicrania i quali, dopo un periodo di training, lo hanno avuto in dotazione per 2-3 settimane». Soddisfacenti i primi risultati ottenuti: sembrano essere assenti effetti collaterali o fastidi al rilascio della stimolazione, mentre il dolore migliora. «Dopo mezz’ora dalla stimolazione - aggiunge la neurologa - ricorrendo a una sola stimolazione, nel 44 per cento dei casi i pazienti non hanno avuto bisogno di analgesici aggiuntivi per sedare il dolore, in poco più dell’11 per cento la riduzione della sintomatologia a due ore dalla stimolazione è stata moderata, mentre in un 45 per cento di casi si è dovuto ricorrere alle normali terapie farmacologiche». L’efficacia dovrà essere ora testata con uno studio a doppio cieco, estendendo la valutazione oltre che alla cefalea, anche all’emicrania a grappolo. In corso, sul tema, anche studi a Roma e a Torino.

 

IL PARERE DELL’ESPERTO

«Quando l’emicrania ricorre con una frequenza medio-alta, come nel caso dei pazienti del Besta - commenta Cristina Tassorelli dell’Headache Science Centre dell’Istituto Neurologico Nazionale C. Mondino di Pavia - il sistema di controllo del dolore si modifica, diventando più facilmente perturbabile e quindi più predisposto a sviluppare nuovi attacchi. Uno dei mediatori di questa maggiore predisposizione a soffrire di più è appunto il glutammato».

L’azione di questo aminoacido è stata confermata anche da uno studio recente condotto dal gruppo di neurologi di Philadelphia su un modello animale specifico per l’emicrania, messo a punto anni fa al Mondino di Pavia, secondo cui la scarica di stimolazione vagale arriva a bloccare il rilascio dell’aminoacido nel nucleo trigeminale caudale, struttura di importanza centrale nell’emicrania, negli attacchi indotti sperimentalmente. «Le premesse dello studio del Besta sembrano interessanti - conclude l’esperta - ma i dati ottenuti, ancora preliminari, richiedono ricerche più approfondite che confrontino la stimolazione vagale rispetto al placebo o ad altra terapia di comprovata efficacia, prima di poter esprimere un giudizio di efficacia rigoroso e definitivo e senza alimentare speranze premature nei malati».

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