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Neuroscienze
Serena Zoli
pubblicato il 13-01-2015

Meno casi di demenza fra gli anziani di oggi



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Aumentano gli ultra settantenni ma si contano meno problemi cognitivi rispetto ai vecchi di 30 anni fa, che avevano attraversato patimenti e mancanza di stimoli. Gli scienziati lo avevano previsto

Meno casi di demenza fra gli anziani di oggi

Per ogni anno che si lavora in più, cala del 3,2 per cento il rischio di demenza. Non è poco: tra chi va in pensione a 65 anni il rischio è minore del 15 per cento rispetto a chi si è messo a riposo a 60 anni. Tutto questo lo ha stabilito una ricerca francese condotta su 500 mila persone. Nel mondo si calcola che vi siano 35 milioni di persone affette da vari tipi di demenza, tra i quali preponderante è l’Alzheimer.

Sulla bontà - nel fermarla o nel rimandarla nel tempo – degli scambi sociali vivaci e dello studio fa testo un’altra ricerca, anzi due, delle quali ci eravamo già occupati, e riassumibili nell’affermazione che gli anziani e vecchi attuali sono in migliore salute mentale di quanti avevano la loro stessa età pochi decenni fa. Le previsioni di aumento della demenza, non foss’altro che per il generale allungarsi della vita, non si sono avverate: si è registrata invece, nelle due indagini, una britannica e una danese, una diminuzione, come certificato a suo tempo sulla rivista The Lancet.

 

UN CALO PREVISTO

«Io parlerei piuttosto di contenimento», frena il neurologo Giovanni Frisoni, direttore scientifico del Centro Nazionale Alzheimer a Brescia e capo del Programma sui Disordini cognitivi alla Clinica universitaria di Ginevra. E spiega: «Questo calo nell’aumento era atteso, lo sapevamo: per via della migliore scolarità diffusa. I settantenni di 30 anni fa avevano subito una prima guerra, poi la seconda, erano quindi passati per deprivazioni nutrizionali, cognitive e altro ancora. Invece i settantenni di oggi hanno intravisto una solo guerra o nemmeno quella».

 

PIU’ ANNI MA PIU’ STIMOLI

Continua il professor Frisoni: «Oggigiorno sono in campo due fattori che si giocano contro: da un lato la vita dura di più, ci sono più persone di 70, 80 anni e oltre rispetto a cent’anni fa, dunque sono possibili più casi di demenza; dall’altro lato l’alta e diffusa scolarità, i migliori destini di vita, le maggiori cure per il diabete, la pressione e ogni altra malattia, il fatto che ci sia più cinema, la televisione, più interessi e più stimoli di ogni genere: tutti questi elementi disegnano stili di vita che proteggono il cervello, dunque impediscono o ritardano l’Alzheimer».

E ora, quando sarà trascorso il passaggio tra due epoche tanto diverse, che cosa si prevede per i futuri vecchi e anziani? «Ah, no, non ci sono previsioni possibili, questi dati sono troppo recenti per poterne derivare uno scenario futuro». Poi Frisoni ride: «E’ meglio che non circoli l’idea che demenze e Alzheimer sono in regresso: i nostri politici non aspettano altro per tagliarci ancora di più i fondi!».

 

Serena Zoli
Serena Zoli

Giornalista professionista, per 30 anni al Corriere della Sera, autrice del libro “E liberaci dal male oscuro - Che cos’è la depressione e come se ne esce”.


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