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Oncologia
Vera Martinella
pubblicato il 27-05-2015

Così si può salvare la possibilità di avere un figlio dopo il cancro



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Al via negli Usa il principale congresso mondiale di oncologia. Fra i quattro temi più importanti del 2015, gli studi anche italiani sulla conservazione della fertilità. Ora il problema è la rimborsabilità dei farmaci

Così si può salvare la possibilità di avere un figlio dopo il cancro

Avevamo già anticipato la notizia, ma ora il Congresso della Società Americana di Oncologia Medica (Asco) apre i battenti a Chicago proponendo, fra le quattro più importanti novità del 2015 per migliorare la qualità di vita dei malati, la possibilità di preservare la fertilità di molte donne colpite da tumore e curate con chemioterapia. L’argomento riguarda un numero crescente di pazienti che, superato il cancro, hanno un’aspettativa di vita simile a quella delle loro coetanee e alle quali, per un pieno ritorno alla «normalità», va garantita ogni qual volta possibile l’opportunità di diventare madri se lo desiderano.


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SCOPERTA ITALIANA

Circa la metà dei tumori diagnosticati nelle donne giovani è rappresentata dal tumore al seno e dai linfomi, neoplasie trattate nella maggior parte dei casi con chemioterapia potenzialmente tossica per la funzione ovarica. «Dai dati della letteratura scientifica si evince che tra le tremila giovani donne italiane a rischio di infertilità a causa della malattia, circa la metà è interessata a preservare la propria fertilità - sottolinea Lucia Del Mastro, direttore dell’Unità Sviluppo Terapie Innovative al San Martino-Istituto Tumori di Genova e autrice degli studi salva-fertilità il cui valore è appena stato riconosciuto a livello mondiale -. Le tecniche consolidate per prevenire l’infertilità da chemioterapia sono la raccolta di ovociti prima dei trattamenti chemioterapici e la loro crioconservazione e l’utilizzo di farmaci (analoghi LHRH) che proteggono le ovaie durante i trattamenti. Queste tecniche possono entrambe essere applicate alla stessa paziente e hanno un tasso di successo relativamente elevato, con possibilità di gravidanza dopo la guarigione tra il 30 e il 50 per cento a seconda dell’età della donna, dei trattamenti chemioterapici ricevuti e del numero di ovociti crioconservati. Studi eseguiti su centinaia di donne dimostrano che le pazienti trattate con analoghi LHRH durante la chemioterapia hanno un rischio ridotto di oltre la metà di perdere la funzione ovarica dopo il trattamento, rispetto alle pazienti che hanno ricevuto la sola chemioterapia. il congelamento di almeno dieci ovociti offre il 30 per cento di probabilità di diventare madri».


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SPERANZA PER LE GIOVANI DONNE

Il carcinoma mammario è la neoplasia più frequente nelle donne: in Italia sono 48mila le nuove diagnosi ogni anno. L'incidenza - ovvero il numero di nuovi casi - è in crescita anche nelle donne tra i trenta e i quarant'anni. Visto che le probabilità di guarire oggi sono elevate - con una diagnosi precoce le guarigioni si attestano attorno al 90% dei casi -, è fondamentale garantire loro il più possibile il ritorno a una vita piena, di ottima qualità e lasciare aperta l'opportunità di diventare madri. «Finora - aggiunge Del Mastro, che è anche  membro del comitato scientifico della Fondazione Umberto Veronesi e del consiglio direttivo nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) - l’unica soluzione per avere figli era congelare gli ovociti prima della terapia per poi procedere, a guarigione avvenuta, alla fecondazione in vitro. Ma le nuove sperimentazioni (quella italiana coordinata dall’oncologa e una americana, giunta alle stesse conclusioni alcuni mesi dopo, ndr) dimostrano che è possibile proteggere la funzione ovarica dagli effetti tossici della chemioterapia somministrando alle pazienti gli ormoni analoghi dell’LHRH, che mettono le ovaie “a riposo” durante i trattamenti in modo che non vengano danneggiate».  

GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO
SONO FATTORI PROTETTIVI
PER IL TUMORE AL SENO?

MA I FARMACI NON SONO ANCORA RIMBORSABILI

Purtroppo però restano aperti due problemi: primo, ancora troppe donne non vengono informate di questa possibilità; secondo, il costo dei farmaci per salvare la fertilità è oggi a carico delle pazienti. La spesa complessiva per il trattamento farmacologico con LHRH delle donne che ne hanno effettivamente bisogno può essere stimato in 77mila euro all’anno per il Servizio sanitario nazionale. Se poi tutte le pazienti candidate alla preservazione della fertilità si sottoponessero alla crioconservazione degli ovociti, la spesa totale complessiva ammonterebbe a circa un milione e 500mila euro. «Al momento, nonostante le richieste inoltrate alle autorità di competenza, questi farmaci purtroppo non sono rimborsabili per questa indicazione. Ora è auspicabile che i dati pubblicati a favore di questa strategia modifichino le attuali restrizioni per il loro utilizzo», conclude Del Mastro.

 

Vera Martinella
Vera Martinella

Laureata in Storia, dopo un master in comunicazione, inizia a lavorare come giornalista, online ancor prima che su carta. Dal 2003 cura Sportello Cancro, sezione dedicata all'oncologia sul sito del Corriere della Sera, nata quello stesso anno in collaborazione con Fondazione Umberto Veronesi.


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