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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 11-10-2017

Ipertrofia prostatica benigna: il nemico è l'infiammazione



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Per gli urologi la cura dell'ipertrofia prostatica passa anche dal controllo dell'infiammazione. Come si riconosce e come si affronta la prostata «ingrossata»

Ipertrofia prostatica benigna: il nemico è l'infiammazione

Per una prostata in salute, la prevenzione passa innanzitutto dall'infiammazione: meno se ne registra, meglio vivono gli uomini. L'ipertrofia prostatica benigna scaturisce infatti dalla persistenza di uno stato di allerta cronico dell'organismo, alla cui origine possono contribuire diversi fattori: un'infezione batterica o virale, alterazioni ormonali o di origine autoimmune, la sindrome metabolica o il fisiologico processo di invecchiamento (tant'è che i tassi risultano crescenti dopo i cinquant'anni). Un legame dimostrato già dieci anni fa, grazie a uno studio pubblicato sulla rivista European Urology, che evidenziò l'associazione tra disturbi urinari, ipertrofia prostatica e infiammazione cronica. Ecco perché intervenire su quest'ultima può prevenire condizioni peggiori: da qui il monito degli specialisti, che in occasione del congresso della Società Italiana di Urologia hanno presentato una nuova indicazione terapeutica per il trattamento dell'ipertrofia prostatica benigna, tra i disturbi cronici secondo per diffusione soltanto all'ipertensione.


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COME RICONOSCERE UNA PROSTATA INFIAMMATA

Ma come può essere diagnosticata la presenza di un’infiammazione cronica della prostata? Il primo indicatore è il peggioramento dei sintomi, in particolare di quelli legati al riempimento della vescica: il paziente durante la notte avverte spesso il desiderio di urinare, costringendolo a frequenti risvegli (nicturia). Anche durante la giornata si deve urinare molte volte (frequenza) e tale necessità è spesso avvertita come bisogno farlo in modo precipitoso (urgenza): tanto da limitare a lungo andare le sue frequentazioni solamente a luoghi che abbiano la disponibilità di un bagno. Un segno obiettivo dell’infiammazione prostatica cronica è la presenza di calcificazioni a livello prostatico, rilevabili attraverso un’ecografia. 

IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA: LE CURE

I farmaci d’elezione per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, che in Italia affligge almeno sei milioni di uomini, appartengono a due categorie: gli alfa-litici (agiscono contro i sintomi) e gli inibitori della 5-alfareduttasi (intervenendo a livello della sintesi del testosterone, rallentano la progressione della malattia), talvolta usati anche in abbinamento. «Il problema è che nessuno di questi farmaci ha una azione antinfiammatoria - sostiene Giuseppe Carrieri, direttore del dipartimento di assistenza integrata nefro-urologica degli ospedali Riuniti di Foggia -. Oggi sappiamo che il volume prostatico e le alterazioni ormonali non possono essere gli unici obiettivi terapeutici, ma bisogna tener conto anche dell’infiammazione per migliorare la qualità di vita del paziente». Il cui sviluppo «è un fenomeno che comincia molto prima, rispetto al rilevamento della malattia - per dirla con Vincenzo Mirone, ordinario all'Università Federico II di Napoli e segretario generale della Società Italiana di Urologia -. Per questo intervenire sull'infiammazione permette di avere un approccio precoce all'ipertrofia prostatica benigna, in un momento in cui la terapia medica può agire con maggiore efficacia».

PSA IN AUMENTO E PROSTATA INGROSSATA: COME INTERVENIRE?

UN NUOVO FARMACO

La nuova indicazione riguarda l’estratto di Serenoa repens, una palma originaria dell’America sud orientale che, con una formulazione diversa, risultava impiegata già sotto forma di integratore (indicato per i giovani che mostrano già a partire dai trent'anni disturbi alla minzione). «Ma guai a farsi ingannare - prosegue Carrieri -. L'estratto esanico di Serenoa repens è un farmaco a tutti gli effetti, che deve essere prescritto dal medico. Il principio attivo viene estratto da questa pianta ed è in grado di opporsi alla sintesi delle interleuchine e dei fattori di crescita. Al momento non risultano effetti collaterali, a fronte di un elevato profilo di sicurezza». Un aspetto di non poco conto, se si considera che «gli alfa-litici provocano un’eiaculazione retrograda - aggiunge Mirone -. Il liquido seminale finisce in vescica e viene eliminato successivamente al rapporto sessuale. Il disturbo in ogni caso scompare quando si sospende la cura e i farmaci riescono spesso a migliorare molto la qualità di vita dei pazienti». Il vantaggio dato dall'utilizzo dell'estratto di origine vegetale nel trattamento dell'ipertrofia prostatica benigna, rispetto ai classici antinfiammatori (Fans), è dato inoltre dalla possibilità di somministrarlo anche per lunghi periodi: l'indicazione è per almeno un anno, cosa che non può accadere invece con i Fans a causa delle ripercussioni a livello gastrico e della coagulazione.

IPERTROFIA PROSTATICA BENIGNA: MEGLIO
I FARMACI O LA CHIRURGIA?

DIMINUISCONO GLI INTERVENTI

L'ampliamento del ventaglio farmacologico contribuirrà a ridurre ulteriormente il ricorso alla chirurgia, «che comunque è già calato in maniera significativa negli ultimi dieci anni ed è destinata soltanto ai casi più gravi: ovvero quelli che mostrano un getto urinario quasi bloccato e un grosso rischio di ritenzione urinaria», afferma Roberto Carone, direttore del reparto di neurourologia dell’azienda ospedaliero-universitaria Città della Salute di Torino. Nei pazienti con ipertrofia prostatica benigna un passaggio con la terapia medica è sempre consigliato. Se inefficace, conviene guardare oltre. Oggi la chirurgia risponde a due opzioni: la resezione endoscopica della prostata (Turp) e l'enucleazione prostatica mediante laser. L'intervento a cielo aperto è ormai quasi un ricordo. «Le linee guida europee indicano la Turp come trattamento di elezione - commenta Andrea Salonia, direttore dell'Urological Research Institute e associato di urologia all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano -. Ma i vantaggi legati all'utilizzo dei diversi laser, che si scelgono a seconda della dimensione della ghiandola al momento dell'operazione, sono diversi. L'intervento risulta indipendente dal volume della prostata. E poi il ricorso al laser riduce il sanguinamento e la frequenza delle recidive e accorcia i tempi per la rimozione del catetere, che non si tiene quasi mai più di 36 ore». 

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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