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Pediatria
Redazione
pubblicato il 18-11-2022

La salute dei bambini in Italia, tra disuguaglianze e povertà



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Un bambino che nasce a Caltanissetta ha 3,7 anni di aspettativa di vita in meno di chi nasce a Firenze. Save the Children fotografa la situazione in Italia tra disuguaglianze e povertà

La salute dei bambini in Italia, tra disuguaglianze e povertà

Le condizioni nelle quali nasciamo e viviamo influenzano la nostra salute. Ecco perché laddove esistano difficoltà economiche e sociali, il rischio di trovare un stato di salute precario o compromesso, a partire dall’infanzia, è più alto rispetto ai luoghi in cui queste difficoltà sono assenti.

A documentarlo è l’“Atlante dell’Infanzia a rischio”, prodotto da Save the Children, un appuntamento fisso che annualmente propone uno sguardo sulle disuguaglianze e i loro effetti sulla salute dei bambini e degli adolescenti più vulnerabili che vivono nel nostro Paese.

 

DOVE NASCONO LE DISUGUAGLIANZE

In Italia quasi un milione e quattrocentomila bambini vivono in povertà assoluta, una percentuale media del 14,2% di tutti i minori, che sale però fino al 16% nel Mezzogiorno; le disuguaglianze socio-economiche che si trovano a vivere incidono direttamente sulla loro salute, penalizzando chi maggiormente avrebbe bisogno, nel proprio territorio, dei servizi di cura, prevenzione e promozione della salute e del benessere psico-fisico.

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I PRIMI MILLE GIORNI

Il periodo di tempo che va dalla nascita del bambino al compimento dei circa due anni di età, ovvero i primi mille giorni, è considerato fondamentale per lo sviluppo infantile. Proprio in questi mesi infatti si pongono le basi per lo stato di salute della persona lungo tutto il percorso di vita. I primi 1000 giorni, dunque, durante i quali il cervello mostra elevatissima plasticità, sono una grande finestra di opportunità, o di rischio, a seconda delle condizioni più o meno positive in cui ognuno è destinato a nascere e crescere.

Ecco perché il quadro delle profonde disuguaglianze socio-economiche e culturali delle famiglie influisce in maniera sostanziale anche sulla salute delle bambine e dei bambini, soprattutto nei primi anni di vita. Si pensi ad esempio all’importanza di eseguire lo screening prenatale e perinatale, vivere in zone inquinate o in case adeguatamente riscaldate e illuminate, o ancora avere stimoli culturali adeguati come la lettura precoce.

 

DIFFERENZE REGIONALI

Se in Italia la speranza di vita alla nascita nel 2021 si attesta a 82,4 anni, ci sono 3,7 anni di differenza tra l’aspettativa di vita di chi nasce a Caltanissetta (80,2) e di chi nasce a Firenze (83,9). L’ultimo rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile evidenzia una differenza anche maggiore rispetto all’aspettativa di vita in buona salute: ci sono oltre 12 anni di differenza per esempio tra chi nasce nella provincia di Bolzano (67,2 anni) e chi nasce in Calabria (54,4 anni). Tra le bambine la forbice è ancora più ampia, 15 anni in meno in Calabria rispetto al Trentino. Prima della pandemia, secondo gli ultimi dati disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,45 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era più che doppio in Sicilia (3,34) e triplo in Calabria (4,42), con ben il 38% dei casi di decesso relativi a bambini con mamme di origine straniera. Un bambino del Mezzogiorno che si ammalava nel 2019 aveva una probabilità di dover migrare in altre regioni per curarsi del 70% in più rispetto a un bambino del Centro o del Nord Italia.

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GLI EFFETTI DELLA PANDEMIA

Nonostante il Servizio sanitario nazionale sia caratterizzato da elevate professionalità, qualità delle cure e una forte inclusività, tutte caratteristiche che pongono ancora oggi l’Italia tra i Paesi più avanzati al mondo in termini di tutela della salute dell’infanzia, la pandemia ha acuito i divari territoriali e fatto esplodere problemi stratificati negli anni. Nel biennio 2020-21 le vaccinazioni nei primi mesi di vita hanno subito una significativa riduzione, e si è verificata, tra le altre cose, una contrazione drastica delle diagnosi di tumore pediatrico che si sono ridotte del 33% nel 2020.

 

DOVE VANNO I FINANZIAMENTI?

A eccezione dei recenti finanziamenti per la pandemia, nel decennio pre-Covid-19 l’Italia ha dedicato sempre meno risorse pubbliche all’assistenza sanitaria per la quale nel 2019 ha investito il 6,4% del Pil, molto meno della Germania (9,8%) o della Francia (9,3%), mentre è cresciuta la spesa sanitaria a carico delle famiglie, pari al 2,3% del Pil, quando in Francia e Germania si limitava all’1,9 e all’1,8%.

Le famiglie italiane più abbienti con figli minorenni spendono in media per la salute circa 250 euro mensili, affidandosi quindi di più ai privati, mentre quelle meno abbienti non raggiungono un quinto di tale spesa (meno di 50 euro) al centro nord, o lo superano di poco nel Mezzogiorno, affidandosi quindi molto di più al SSN, quando presente.

 

COSA MANCA?

Nella ripartizione dei fondi pubblici per la salute, solo il 12% è impiegato nella prevenzione e nella medicina di base, che sono invece fondamentali per la salute dei bambini nel medio e lungo periodo. La quota principale, il 44%, è impiegata per l’assistenza ospedaliera, ma solo il 6% di queste risorse sono destinate ai minorenni, nonostante rappresentino il 15,6% dell’intera popolazione, e nel 2020 i posti letto in degenza ordinaria nei reparti pediatrici erano solo il 4,1% del totale.

Nonostante il crollo demografico, con meno di 400 mila nati nel 2021, mancano all’appello sui territori ben 1.400 pediatri di base e la media di bambini under14 assistiti per pediatra è pari a 883, sebbene vi sia un limite stabilito per legge di massimo 800 assistiti per pediatra, mentre lo screening neonatale esclude ancora, in molte regioni, alcune malattie anche gravissime, che potrebbero essere diagnosticate precocemente. 

A mancare, per garantire un migliore stato di salute, sono anche i consultori familiari, il cui numero si era andato assottigliando già prima del Covid-19. Tra il 2014 e il 2020 c’è stata una riduzione di oltre il 6% del numero di centri attivi e nel biennio 2018-19 la media di utenti per singola struttura era di 32.325 persone, ben al di sopra dei 20.000 stabiliti dalla legge (34/1996), e con un’ampia disparità territoriale (Lazio, Veneto e Campania hanno in media bacini di utenza di oltre 40 mila persone per ciascun consultorio).

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IL RUOLO DELL’INQUINAMENTO

La salute dei bambini non può essere solo affidata all’efficienza del Sistema sanitario nazionale, ma è l’intero ambiente di crescita, in tanti suoi aspetti, a giocare infatti un ruolo decisivo. L’81,9% dei bambini, infatti, vive in zone dove la concentrazione di polveri sottili è maggiore dei valori limite indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come non rischiosi per la salute (il 100% in ben 8 regioni: Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Puglia, Trentino Alto Adige, Veneto). Questi inquinanti sono una possibile causa scatenante dell’asma che colpisce l’8,4% dei bambini tra i 6 e i 7 anni, ma incidono potenzialmente anche sullo sviluppo cognitivo dei bambini, che migliora del 13% nelle scuole con i più bassi livelli di polveri sottili nell’aria.

 

LA TERAPIA DEL VERDE

Soprattutto per chi vive in città è davvero difficile non esporre i propri bambini all’inquinamento atmosferico, un rimedio però c'è: la “terapia del verde”. Bambini che trascorrono molto tempo a contatto con la natura sono meno stressati e generalmente più sani. Ecco perché sarebbe importantissimo che soprattutto le strutture dedicate all’infanzia, come le scuole e gli asili nido, fossero dotate di spazi verdi, ma purtroppo, nella realtà del nostro Paese, spesso questi scarseggiano. Quando mancano spazi esterni fruibili dai bambini, i più piccoli tendono a passare molto tempo in casa ma anche qui subentrano le disuguaglianze socio-economiche. La deprivazione abitativa, ad esempio casa mal riscaldata, pareti attaccate dalle muffe, spazi ristretti e e sovraffollati, ha sicuramente delle ripercussioni sulla salute e sulla crescita di un bambino o una bambina. E a risentirne sono anche dieta e attività fisica.

 

POVERTÀ ALIMENTARE E OBESITÀ

Un bambino o ragazzo su quattro non pratica mai sport (3-17 anni), con una ampia forbice che va dal 45,5% della Campania al 6,9% della Provincia Autonoma di Bolzano. Con la pandemia, i bambini tra i 3 e 10 anni in sovrappeso o obesi sono passati dal 32,6% (biennio 2018-19) al 34,5% (2020-21).

La povertà alimentare, invece, colpisce 1 bambino su 20, mentre l’accesso alla mensa scolastica, che per alcuni sarebbe l’unica chance quotidiana di un pasto equilibrato e proteico, si limita a 1 bambino su 2 nella scuola primaria. La buona alimentazione fa difetto anche per il 32% degli adolescenti tra gli 11 e i 17 anni, che non mangia mai frutta e verdura. Le conseguenze per la salute, oltre al sovrappeso, possono essere molteplici, dalle deformazioni ossee a problemi cardiovascolari, di respirazione o pressione alta.

 

L’OPPORTUNITÀ DELLA MENSA SCOLASTICA

La mensa scolastica dovrebbe essere considerata come  un servizio essenziale tra i 3 e i 10 anni: il modo più efficace per azzerare la povertà alimentare dei bambini dai 3 ai 10 anni, infatti, è garantire un pasto proteico di qualità (possibilmente biologico e a kilometro zero) a scuola. La mensa scolastica rappresenta anche un servizio essenziale per garantire opportunità eguali di salute e di apprendimento: sarebbe questa una strada concreta per far avanzare la salute dei bambini, con un pasto sano almeno una volta al giorno e una buona educazione alimentare.

Dato che i pasti scolastici sono ormai da diversi anni a carico dei singoli comuni, la presenza e la qualità delle mense è molto superiore nei comuni più ricchi. Laddove la povertà socio-economica ed educativa sono più incisive, invece, le mense sono merce rara: ad esempio, le province di Ragusa, Agrigento, Catania registrano percentuali inferiori al 10% di copertura, e Napoli e Palermo sotto al 6%. 

 

IL DISAGIO MENTALE CRESCE

Una volta cresciuti, i bambini, ormai adolescenti, anche a causa degli effetti peggiorativi della pandemia, si trovano ad affrontare un crescente disagio mentale. In nove regioni italiane oggetto di monitoraggio, i ricoveri per patologia neuropsichiatrica infantile sono cresciuti del 39,5% tra il 2019 e il 2021. Le cause principali sono rappresentate da psicosi, ideazione suicidariadepressione e disturbi della condotta alimentare

Ma i posti letto sono sufficienti a sostenere questo carico? Purtroppo no: in tutto il Paese si contano solo 394 posti letto in degenza in questi reparti e addirittura ci sono regioni che non ne hanno neanche uno, come Calabria, Molise, Umbria e Valle d’Aosta, mentre in Lombardia ce ne sono 100. A farsi sentire è anche l’assenza o la carenza di strutture semiresidenziali, centri diurni, strutture per gli interventi intensivi a domicilio, tutta la rete coordinata di cura che dovrebbe evitare il ricovero.

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RICHIESTE DI AIUTO SENZA RISPOSTA

In generale, siamo di fronte a un bisogno di sostegno consistente che non trova risposta. Secondo le stime, già prima della pandemia 200 bambini e ragazzi su 1000 manifestavano un disturbo neuropsichiatrico (1.890.000 minori), ma meno di un terzo aveva accesso a un servizio territoriale di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e nella metà dei casi non riusciva ad avere risposte terapeutico-riabilitative appropriate nel proprio territorio.

Tra le patologie in crescita tra gli adolescenti a seguito della pandemia sono stati rilevati soprattutto disturbi alimentari (in particolare anoressia e bulimia), hikikomori e dipendenze da sostanze.

Per rendere l’infanzia italiana sempre meno schiava delle diseguaglianze occorre assumersene la responsabilità e intervenire adeguatamente perché la la vita, la morte e, in generale, la salute dei più piccoli non siano affidati alla lotteria della nascita che decide dove far venire al mondo e crescere milioni di bambini, decretandone lo stato di saluto, oltre a quello socio-economico.

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