Alzheimer e attività fisica: la chiave è l'irisina?
L'irisina è prodotta dai muscoli durante l'attività fisica e potrebbe essere una delle ragioni per cui una vita attiva influisce sul rischio di Alzheimer
Non potendo curare la malattia di Alzheimer, la più diffusa forma di demenza senile, le indicazioni degli esperti puntano soprattutto sulla prevenzione. Una dieta equilibrata e ricca di vegetali e un tempo sufficiente da dedicare all'attività fisica: i consigli generali finiscono sempre a questo punto, anche se la conoscenza dei meccanismi che porterebbero uno stile di vita attivo a proteggerci dall'Alzheimer sono ancora in via di definizione. Il segreto, relativamente allo sport, potrebbe nascondersi in un ormone il cui rilascio aumenta a seguito proprio dell'esercizio fisico.
IL RUOLO CHIAVE DELL'IRISINA
L'evidenza emerge da uno studio pubblicato sulle colonne della rivista Nature Medicine, durante il quale i ricercatori della Columbia University, dell'Università di Rio de Janeiro e della Queens University di Kingston hanno prima analizzato alcuni campioni di tessuto cerebrale e poi osservato i cambiamenti nel cervello di alcuni ratti dopo l'attività fisica. A legare i due esperimenti, il ruolo dell'irisina, che emerge come un possibile antidoto al decadimento cognitivo. Dalla prima parte della ricerca, gli scienziati hanno dedotto che l'ormone è presente nell'ippocampo umano e che se ne rilevano concentrazioni inferiori nelle persone colpite dall'Alzheimer. Dalla seconda è invece emerso che l'attività fisica aumenta la produzione di irisina, in grado di proteggere la memoria anche in presenza degli accumuli di beta-amiloide, la proteina che si rileva aggregata in placche nel cervello delle persone colpite dalla malattia.
UN ALLEATO DELLA SALUTE
Se non tutto, molto sembra dunque ruotare attorno all'azione dell'irisina, già noto come un alleato della salute. Prodotta soprattutto dal tessuto muscolare durante l'attività sportiva, questo ormone è in grado di convertire il grasso «bianco» (quello che tende a d accumularsi, soprattutto a livello addominale) in quello «bruno» (più semplice da utilizzare come fonte energetica). Studi condotti (per ora) su modello animale hanno evidenziato anche un aumento della densità minerale ossea e della funzione endoteliale nelle persone obese e diabetiche. Osservando i benefici (protezione delle sinapsi e della memoria) che l'irisina aveva nei topi nonostante le «iniezioni» di beta-amiloide, i ricercatori hanno deciso di osare bloccando l'ormone con un farmaco per osservare le conseguenze. L'aver vanificato l'azione dell'irisina ha fatto regredire la memoria dei topi, che nei test hanno evidenziato le stesse performance dei topi che non avevano effettuato alcuna pratica sportiva. Segno che, guardando il rovescio della medaglia, l'aumento dei livelli di irisina nel cervello potrebbe risultare un antidoto contro il decadimento cognitivo, come elemento di prevenzione o come argine a un processo già avviato.
COME SI AFFRONTA LA DEPRESSIONE NEGLI ANZIANI?
CONTINUARE A FARE SPORT
«La nostra è una scoperta iniziale, che dovrà trovare conferma in ulteriori lavori - frena il neurobiologo Ottavio Arancio, docente di patologia e biologia cellulare alla Columbia University, tra gli autori della pubblicazione -. Nel frattempo, però, possiamo andare avanti incoraggiando tutti a fare attività sportiva, per promuovere il funzionamento del cervello e, più in generale, la nostra salute complessiva». Il problema, in questo caso, riguarda chi non può fare sport perché già alle prese con una malattia. È a loro che guardano i ricercatori. «Il gap potrebbe essere colmato sviluppando un farmaco in grado di far crescere i livelli di irisina indipendentemente dall'attività sportiva svolta».
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