L’Alzheimer si previene (anche) con l’attività fisica
Sul fronte delle terapie, non ci sono novità da segnalare. Motivo per cui, per prevenire la malattia di Alzheimer, di cui il 21 settembre si celebra la giornata mondiale, non rimane che aggrapparsi alla prevenzione, sperando che basti. Più che la dieta, che sembra poter avere comunque un ruolo protettivo, è il mantenersi attivi a proteggerci in maniera più significativa dal rischio di sviluppare la più comune forma di demenza senile. Attività intellettiva, ma soprattutto fisica, come conferma uno studio pubblicato sulle colonne di Science. La ricerca ha evidenziato (su modello animale) come l'esercizio fisico promuova la sintesi di nuovi neuroni a livello dell'ippocampo, una delle prime regioni del cervello a mostrare i segni della malattia.
«TURNOVER» DI NEURONI NELL'IPPOCAMPO
Finora la possibilità di spazzare via le placche di beta amiloide - la proteina che compare in eccesso nel cervello dei malati di Alzheimer - non s'è rivelata la strategia vincente. Per questo i ricercatori hanno deciso di percorrere un'altra strada: il «potenziamento» del tessuto nervoso, in modo da provare a garantire un turnover ai neuroni danneggiati. L'ippocampo, d'altra parte, ha una peculiarità: quella di rinnovarsi continuamente. Un processo dovuto alla presenze in loco di staminali che, se adeguatamente stimolate, possono provare a sopperire alla perdita di altre cellule. Diverse ricerche, nell'ultimo decennio, hanno evidenziato come una spinta in questo senso possa giungere dall'esercizio fisico. Ipotesi che ha trovato conferma anche nell'ultimo studio, dal momento che lo stimolo alla neurogenesi determinato dall'esercizio ha migliorato le performance cognitive dei topi, anche se soltanto in concomitanza con l'aumento di alcuni marcatori (tra cui il fattore neurotrofico cerebrale) indicativi di una crescente attività a livello sinaptico. Al contrario, poco ha potuto la sola neurogenesi indotta dall'attività fisica, che sembra avere comunque un ruolo chiave a livello preventivo. Nei topi (geneticamente modificati per sviluppare la malattia di Alzheimer) che non la praticavano, nel tempo i neuroni sono divenuti sempre più vulnerabili, rendendo la strada in discesa per il declino cognitivo.
Alzheimer: verso uno screening per la popolazione a rischio?
ESERCIZIO FISICO E INVECCHIAMENTO CEREBRALE
Ciò che si deduce è che la promozione della neurogenesi ippocampale, abbinata a un aumento dei livelli del fattore neurotrofico cerebrale, potrebbe posticipare la comparsa della malattia o quanto meno rallentarne la progressione. Tutto ciò senza andare a considerare l'amiloide, destinata a rimanere in loco, salvo la scoperta di nuovi farmaci in grado di degradarla e di riportare i neuroni danneggiati alle condizioni di partenza (cosa che finora non è mai riuscita). Da qui le speranze riposte nei confronti dell'esercizio, considerato l'antidoto più efficace al decadimento cognitivo. Le evidenze epidemiologiche non mancano e riguardano anche l'uomo. L'ultima è giunta da uno studio pubblicato sulla rivista Neurology, che ha evidenziato come nelle donne più allenate l'insorgenza dei primi campanelli d'allarme di una demenza compaiano in media con quasi dieci anni di ritardo rispetto a quanto si riscontra in una persona sedentaria. Detto ciò, finora non è però stato possibile dimostrare quali siano i meriti da riconoscere all'attività fisica e quali quelli potenzialmente dovuti ad altri fattori: dalla genetica allo stile di vita nel suo complesso. Nessuno, in pratica, ha finora potuto dimostrare che è l'esercizio fisico il vero elisir di lunga vita per il cervello.
COME AFFRONTARE LA DEPRESSIONE NEGLI ANZIANI?
COSA ACCADE IN CHI E' GIA' MALATO?
A rendere ancora provvisorie le conclusioni sono anche i risultati degli studi mirati a valutare l'impatto dell'esercizio fisico in chi ha già sviluppato la demenza. Sui modelli animali, i risultati ottenuti sono definibili incoraggianti. I topi malati che si allenano, rispetto a quelli sedentari, risultano poi più abili nello svolgimento di una serie di esercizi mirati a valutare la funzione mnemonica. Ma la stessa solidità dei dati non appartiene alle analoghe ricerche condotte sull'uomo, motivo per cui è ancora presto per considerare di avere ottenuto un primo successo nella lotta all'Alzheimer. Occorre poi considerare le differenze tra il cervello di una persona sana e quello di chi è già malato. Un conto è far sbocciare nuovi neuroni nel primo, un altro è farlo in un «ambiente di gioco ostile e già malsano», per dirla con Rudolph Tanzi, neurogeneticista alla Harvard Medical School di Boston e prima firma dello studio pubblicato su Science.
La sensazione, in sintesi, è che l'esercizio fisico non sia una panacea, ma un valido supporto sì: sicuramente nella prevenzione e probabilmente anche nell'assistenza a chi è già malato. Al suo ruolo ci si è finora poco interessati anche perché lo sguardo delle case farmaceutiche è rivolto in un'altra direzione. Ma più si allarga il raggio d'azione, maggiori sono le probabilità di trovare una risposta all'Alzheimer.
Ecco i campanelli d'allarme che anticipano l'Alzheimer
Disorientamento nel tempo e nello spazio Il malato di Alzheimer può perdere la strada di casa, non sapere dove si trova e come ha fatto a giungere in quel determinato luogo
Difficoltà nel pensiero astratto Per il malato di Alzheimer può essere impossibile riconoscere i numeri o compiere calcoli
Diminuzione della capacità di giudizio Il malato di Alzheimer può vestirsi in modo inappropriato, per esempio con capi invernali in una giornata tipicamente estiva (o viceversa)
Difficoltà nelle attività quotidiane Il malato di Alzheimer potrebbe preparare un pasto e non solo dimenticare di servirlo, ma anche scordare di averlo fatto
Cambiamenti di umore o di comportamento Nel malato di Alzheimer sono repentini e senza una ragione apparente
Mancanza di iniziativa Il malato di Alzheimer la perde progressivamente: in molte o in tutte le sue attività
Cambiamenti di personalità Il malato di Alzheimer può cambiare drammaticamente la personalità: da tranquillo diventa irascibile, sospettoso o diffidente
La cosa giusta la posto sbagliato Un malato di Alzheimer può mettere gli oggetti in luoghi davvero singolari, come un ferro da stiro nel congelatore o un orologio da polso nel barattolo dello zucchero e non ricordarsi come siano finiti là
Problemi di linguaggio A tutti può capitare di avere una parola «sulla punta della lingua», ma il malato di Alzheimer può dimenticare parole semplici sostituendole con altre improprie
Perdita di memoria Questa compromette la capacità lavorativa. La dimenticanza frequente o un'inspiegabile confusione mentale possono essere la spia che c'è qualcosa che non va