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Cardiologia
Edoardo Stucchi
pubblicato il 08-02-2012

Contro l'ictus ci vuole più unità



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Si chiamano Stroke Unit i reparti ospedalieri dove prestano le migliori e urgenti cure a chi è colpito da ictus. Ce ne vorrebbero 400 su tutto il territorio e invece ce ne sono 150.

Contro l'ictus ci vuole più unità

Non sempre tutte le malattie sono trattate con la stessa e giusta attenzione dal sistema sanitario nazionale. Chi è affetto da diabete o colpito da infarto cardiaco, trova sul territorio le cure e l’assistenza più adatte e con grande facilità. Non così, per l’ICTUS Cerebrale,  che, pur essendo in Italia la prima causa di invalidità, la seconda per la demenza e la terza per la morte, non ha finora ottenuto grande considerazione dagli organi istituzionali, con il risultato che ogni giorno quasi un milione di persone sono costrette a far fronte alle conseguenze invalidanti della malattia, anche a proprie spese.

ALICE TI AIUTA- Lo conferma Paolo Binelli, il presidente della Federazione nazionale A.L.I.Ce. (Associazione Lotta Ictus Cerebrale), il raggruppamento delle Associazioni regionali, che si occupano di questi malati e dei pesanti carichi che devono sopportare i familiari. «L’ICTUS deve essere affrontato con più attenzione dal sistema sanitario – dice Paolo Binelli – perché  soltanto una percentuale limitata di persone  riesce ad avere cure e assistenza adeguate nelle Unità Urgenza Ictus (STROKE Unit) presenti in Italia. Le cause sono molteplici: prime fra tutte: l’inadeguato numero delle Stroke Unit, dove a fronte di una necessità di circa 400 Unità ne sono attive solo circa 150, e la scarsa conoscenza della patologia dell’ICTUS, nota solo a meno del 40% della popolazione tanto che soltanto poche persone colpite da ICTUS arrivano negli ospedali, entro le 3-4 ore dall’evento, limite oltre il quale la terapia trombolitica, per sciogliere il trombo che ha provocato l’occlusione e quindi l’ICTUS, abbia efficacia».

MANCANZA DI INFORMAZIONE- Ma anche quando i pazienti vengono dimessi dall’ospedale, dopo le cure intensive, i familiari non sanno che cosa fare perché non esiste un percorso di riabilitazione e rieducazione continuativo che tenga conto del reinserimento occupazionale, sociale e familiare. «E’ la mancanza di informazione – prosegue Binelli -a fare più danni di quanti non ne faccia già la malattia stessa; in percentuali assai significative la depressione colpisce non solo i malati colpiti da ICTUS, ma anche i loro familiari, che si sentono abbandonati. Peraltro quello che pochi sanno è che una corretta prevenzione che tenga sotto controllo i fattori di rischio  potrebbe più che dimezzare i casi di ictus  (studi americani riportano addirittura valori superiori all’80%)». Non è dunque fatalismo  ciò che circonda l’evento, ma il risultato di uno stile di vita sbagliato e la non applicazione delle linee guida internazionali per la prevenzione e la cura dell’ictus.

FATTORI DI RISCHIO- Milioni di italiani (addirittura 1su 6), rischiano di andare incontro ad un ictus perché pochi  conoscono i fattori che lo inducono e i sintomi che identificano l’evento cerebrale perché l’informazione è carente e i centri per la prevenzione sono inesistenti.  Nei paesi dove i progressi scientifici e tecnologici sono stati recepiti con l’adozione di piani assistenziali nazionali,  la mortalità e l’invalidità conseguente all’ictus sono enormemente diminuiti, mentre in alcune regioni italiane si muore più di ICTUS Cerebrale che di infarto del miocardio

Per questo l’Associazione A.L.I.Ce. Italia Onlus chiede che le persone colpite da ICTUS debbano essere curate nelle strutture più adeguate e con il massimo dell’attenzione. Condizioni riassunte in 10 punti della Carta dei diritti, scaricabile dal sito www.aliceitalia.org. Essendo l’ictus una malattia prevedibile e curabile, si arriverebbe ben presto a una riduzione della mortalità, della disabilità e, non ultimo, un vantaggio economico per la spesa sanitaria.

 


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