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Fabio Di Todaro
pubblicato il 03-11-2020

Coronavirus: una guida per orientarsi tra i test disponibili



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Il tampone rimane lo standard per rilevare il contagio da Sars-CoV-2. Ma con l'emergenza sta aumentando il ricorso ai test rapidi. E, all'orizzonte, ci sono i test salivari

Coronavirus: una guida per orientarsi tra i test disponibili

Il tampone molecolare - attualmente - è lo standard con cui si diagnostica l’infezione da Sars-CoV-2. Ma la saturazione raggiunta dal sistema di tracciamento nelle Regioni italiane sta mostrando un limite che è anche concausa dell’aumento dei contagi in corso da quattro settimane. Ci sono infatti persone che rimangono in attesa di essere sottoposte al test per giorni (nel frattempo, non è detto che vivano in isolamento). A ciò occorre aggiungere che i laboratori - in condizioni normali - impiegano in media 24 ore per svelare l’esito di un tampone. Ma con l'attuale carico di contagi, capita di aspettare anche una settimana prima di avere l’esito. Da qui la necessità di rivedere l'approccio diagnostico. «In un contesto di rapida crescita del numero di infezioni, occorre individuare una nuova strategia che porti a identificare il maggior numero di contagi», è quanto messo nero su bianco dall'epidemiologo Michael Mina (Harvard) in un articolo apparso sulle colonne del New England Journal of Medicine. Più indagini - complementari, considerando dunque anche la prospettiva aperta dai test salivari - possono rappresentare la strategia per contenere la seconda ondata di Covid-19.


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TEST SALIVARI: A CHE PUNTO SIAMO?

Nessun test salivare è al momento in uso nel nostro Paese per intercettare la positività al coronavirus. Detto ciò, non è da escludere che un’offerta di questo tipo possa diventare disponibile in un arco di tempo ristretto. La saliva è infatti considerata un campione diagnostico ideale per eseguire la ricerca del virus - più facile da raccogliere rispetto al tampone nasofaringeo e al lavaggio broncoalveolare - e può essere utilizzata con sistemi veloci e già disponibili. Quanto alla sensibilità, gli ultimi dati a riguardo giungono da uno studio condotto dagli specialisti dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani e dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, in collaborazione con l’University College di Londra. Il team ha analizzato 337 campioni salivari di 164 pazienti per poi metterli a confronto con altrettanti tamponi nasofaringei. Dalla comparazione dei dati, pubblicati sulla rivista Viruses, è emerso «un elevatissimo grado di concordanza», afferma Maria Rosaria Capobianchi, a capo del laboratorio di virologia dello Spallanzani. «Sia la quantità sia la durata di rilascio del virus si sono mostrati sovrapponibili, nella saliva e nel tampone». Idem dicasi nel confronto con il lavaggio broncoalveolare, a cui vengono sottoposti i pazienti intubati (nel loro caso, il virus può non essere più rintracciabile nelle vie aeree superiori). Ciò vuol dire che, a differenza di quanto accade in caso di positività a un test antigenico, un’indagine di questo tipo è sufficiente a certificare il contagio e non richiede la conferma del tampone.

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TEST SALIVARI: QUANDO UTILIZZARLI?

Che l’interesse nei confronti dei salivari sia crescente lo dimostra la scelta della Food and Drug Administration statunitense di autorizzare l’utilizzo in emergenza di due test salivari realizzati dalla Rutgers University e dell’Università di Yale. In Israele, nello Sheba Medical Center di Ramat Gan, è invece sperimentazione un test salivare che viene effettuato dal paziente sciacquando la bocca con una soluzione salina e depositando il liquido in una provetta. Questa, inserita in un apparecchio, determina la positività o meno del campione in pochi secondi. A differenza del tampone molecolare, i test salivari non sono però adatti ai grandi numeri. Questo perché il caricamento dei campioni non è così semplice e dipende (anche) dall’esperienza dell’operatore. Ragion per cui, a fronte di una situazione come quella attuale, non si potranno abbattere numeri e tempi di attesa ricorrendo a questo tipo di indagine. La cui utilità è però fuori discussione. «I test salivari possono essere di grande utilità nel monitoraggio dell’infezione in determinati contesti - prosegue Capobianchi, che è stata la prima a isolare il Sars CoV-2 in Italia -. Uno di questi, per esempio, è il pronto soccorso, dove può essere necessario testare un paziente che ha bisogno di cure urgenti e avere un risultato attendibile in un’ora». Si pensi, per esempio, a una donna prossima a partorire, a un paziente traumatizzato che deve essere operato o a chi arriva in ospedale colpito da un ictus o da un infarto. Il suo utilizzo è pertanto indicato in casi particolari, come per esempio anche «la conferma urgente di positività riscontrate nel corso di test antigenici». O in contesti a elevata fragilità - come ospedali, Rsa, strutture diurne per disabili - in cui è già stato rilevato un caso di positività. In questi ambienti, la più facile esecuzione dell’indagine offrirebbe la possibilità di sottoporre gli ospiti a un monitoraggio urgente ogni qual volta ce ne fosse la necessità. Ed, eventualmente, attuare misure di contenimento del contagio.  


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PRESTO ANCHE TEST ANTIGENICI DALLA SALIVA?

Fin qui i test molecolari, considerati una valida alternativa al (più invasivo) tampone. Ma la comunità scientifica guarda con interesse alla saliva anche per effettuare test antigenici rapidi, in grado di rintracciare non il genoma del virus, bensì alcune proteine di superficie note come antigeni. A fronte di una sensibilità inferiore rispetto all’analoga indagine mirata alla ricerca dell’Rna virale, potrebbero tornare utile per un monitoraggio periodico di categorie di persone a rischio e per abbattere (una volta validati sui grandi numeri) il numero di persone sospette in attesa di un test. Se negativo, giungerebbe il via libera. Per gli eventuali positivi, invece, «sarebbe prevista la conferma a livello molecolare - chiarisce Capobianchi -. Ci sarebbe però il vantaggio di non dover ricorrere al tampone, poiché lo stesso campione di saliva potrebbe essere usato per la ricerca dell’Rna virale». Soluzioni di questo tipo hanno però al momento ancora un limite importante. «Un test simile deve essere effettuato in laboratorio. Ragion per cui, a meno che non se ne attivino di mobili nei punti in cui vengono effettuati i prelievi, sono difficilmente utilizzabili in contesti di screening rapido. Seppur più veloci ad ottenersi rispetto al test molecolare, i risultati non sarebbero immediati».

 

TAMPONE MOLECOLARE INEVITABILE PER LA DIAGNOSI

Al momento - è bene chiarirlo - il tampone nasofaringeo rimane il test più affidabile per stabilire il contagio con Sars-CoV-2. Il suo funzionamento si basa sulla ricerca dei frammenti del materiale genetico (Rna) di cui è composto il virus. Il materiale biologico analizzato viene prelevato dalle cavità nasali della persona e analizzato per riscontrare l’eventuale positività del soggetto al virus. Il test è considerato il più attendibile per la diagnosi, tanto da essere l’unico impiegato nei laboratori pubblici dove arrivano i tamponi effettuati sul territorio dai medici dei dipartimenti di prevenzione. Ma in questa fase caratterizzata da un’elevata circolazione del virus, sta mostrando un limite non da poco: la lentezza nell’ottenere i risultati. Non ci sarebbero (quasi) problemi se si riuscisse a rispettare un’attesa compresa tra le 24 e le 48 ore. Ma ormai quasi dappertutto si va oltre i tre giorni, con tempi che nelle aree più in affanno arrivano anche a una settimana. Risultato: oggi il tampone molecolare viene offerto quasi esclusivamente a chi ha più sintomi riconducibili a un’infezione da Sars-CoV-2 (e ai suoi eventuali contatti nelle stesse condizioni). La sola febbre, in molti casi, viene «gestita» con l’isolamento fiduciario e un’eventuale terapia a domicilio.

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TAMPONI RAPIDI: INDICAZIONI PER L'USO

Per far fronte a questa situazione, si va verso un più largo uso dei tamponi rapidi che, a partire dal Veneto, saranno presto disponibili negli studi dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta. Si tratta di test che (a differenza di questi molecolari) non ricercano il genoma del virus, ma la presenza degli antigeni di superficie. Da qui l’indicazione di tamponi antigenici, per descrivere un’indagine che almeno nelle modalità viene svolta allo stesso modo del tampone molecolare (con prelievo nasofaringeo). E che restituisce però il risultato in meno di mezz’ora. Se la velocità è il punto di forza dei tamponi rapidi, soprattutto in un periodo come questo, qualche garanzia in meno questi dispositivi la danno in termini di sensibilità (capacità di identificare le persone malate). Ragion per cui - per esempio - in caso di positività è richiesta comunque la conferma del tampone molecolare. Quanto alla specificità (capacità di individuare le persone sane), in alcuni casi, un iniziale esito negativo non si è poi rivelato tale con il passare dei giorni (con la comparsa di sintomi). In questo caso, il rischio è quello di dare la «patente» di sano a chi è (senza saperlo) contagioso. Un simile scenario, secondo gli esperti, è più probabile se a sottoporsi al test è una persona con una bassa carica virale o che è alle battute finali della malattia.

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A COSA SERVONO I TEST SIEROLOGICI?

L’ampia galassia dei test si conclude con i sierologici. Mentre quelli molecolari individuano il virus nell’organismo del paziente, i test sierologici (o immunologici) permettono di misurare la presenza degli anticorpi che il sistema immunitario produce in risposta all’infezione del virus Sars-CoV-2. Un’indagine di questo tipo non svela pertanto se il paziente ha una infezione in atto, dal momento che le immunoglobuline compaiono con un ritardo di qualche giorno rispetto all’esordio dei sintomi (e rimangono nell’organismo del paziente anche dopo che l’infezione è stata superata). Questi test sono invece più utili per capire lo stato di diffusione del virus in specifici gruppi a rischio anticorpi (studi di sieroprevalenza) o per valutare lo stato di immunizzazione della popolazione in previsione della riapertura delle attività lavorative e sociali. A oggi, sono disponibili due tipi di test sierologici: quelli convenzionali e i test rapidi. I primi richiedono alcune ore per essere effettuati, devono essere eseguiti in laboratori dotati di attrezzature complesse e forniscono risultati di tipo sia qualitativo (presenza o meno degli anticorpi) sia quantitativo (titolo anticorpale). I test rapidi possono essere utilizzati invece anche al di fuori dei laboratori (risultato in un quarto d’ora). Disponendo sul dispositivo una goccia di sangue o di plasma, la presenza di anticorpi viene visualizzata mediante la comparsa di una banda colorata o di un segnale fluorescente letto con un piccolo apparecchio. Si tratta di un’indagine qualitativa, che non offre informazione sulla quantità e sulla capacità protettiva degli anticorpi.

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