Epatite C: per eradicarla bisogna curare chi non sa di avere la malattia
La lotta all'epatite C procede serrata. Sempre più italiani positivi al virus sono trattati con successo grazie ai farmaci antivirali. Molto rimane ancora però da fare per scoprire il «sommerso», ovvero andare a intercettare le persone con epatite C che non sanno di essere stati infettati. Secondo uno studio realizzato da EpaC Onlus, in collaborazione con il EEHTA del Centro di Studi Economici e internazionali (CEIS) dell’Università Tor Vergata di Roma, sarebbero circa centomila. A questi vanno sommati i duecentomila in attesa di accedere alle terapie.
ELIMINARE IL VIRUS DELL'EPATITE C E' FONDAMENTALE NON SOLO PER LA SALUTE DEL FEGATO
A differenza di quanto si può pensare l'epatite C non è una malattia esclusiva del fegato. L'effetto a lungo termine del virus, oltre a portare a cirrosi e carcinoma epatico, sono il diabete, l'insufficienza renale e problemi cardiovascolari. Eliminare il virus dunque è fondamentale. Sino a pochi anni fa l'unica arma a disposizione per ottenerne l'eliminazione era l'interferone, una molecola efficace in meno della metà dei casi e con importanti effetti collaterali che ne hanno sempre limitato l'utilizzo. Dal 2010, con l'avvento dei primi antivirali ad azione diretta, è possibile eliminare il virus in oltre il 97% dei casi. Un risultato straordinario che si traduce in vantaggi concreti per il paziente: togliendo il virus dal corpo si arresta la malattia, si previene lo scompenso epatico, si riducono le possibilità di insorgenza di carcinoma epatico e aumenta enormemente l'aspettativa di vita. Non solo, le ricadute positive di questi farmaci riguardano anche il campo dei trapianti. Sei trapianti di fegato su 10 in Italia avvengono proprio a causa dell'epatite C. Diversi studi dimostrano che almeno il 20% delle persone in attesa, se trattate, traggono benefici tali da non necessitare più di un nuovo organo. Ma il vantaggio è duplice perché quelle trattate con successo evitano di entrare in lista.
Se all'inizio il problema principale era legato ai costi - un ciclo poteva arrivare a costare diverse decine di migliaia di euro - ora, grazie alla concorrenza sul mercato, alle politiche lungimiranti dell'Agenzia Italiana del Farmaco in fatto di negoziazione e alle inferiori durata del trattamento, la lotta all'epatite C è questione di organizzazione. Ad oggi, secondo gli ultimi dati dell'AIFA, sono 156 mila gli italiani che hanno avuto accesso ai nuovi antivirali a partire da gennaio 2015. Dallo studio di EpaC emerge però che a gennaio 2019 saranno circa 160 mila quelli con diagnosi nota ancora in attesa di essere curati. «Conoscere quanti pazienti devono ancora essere trattati - spiega Francesco Saverio Mennini, Direttore del CEIS dell’Università Tor Vergata di Roma - favorisce una programmazione virtuosa ed efficiente, anche dal punto di vista economico e finanziario, incidendo positivamente sulla sostenibilità di sistema». Poter curare tutti infatti è un vantaggio non solo per i malati ma anche per il sistema sanitario nazionale: «Come emerso in un recente studio presentato al convegno ISPOR USA 2018, il trattamento del paziente nella fase precoce della malattia determina un ritorno completo dell’investimento effettuato dopo circa 6 anni ed è plausibile che questo trend prosegua, comportando minori impatti sulla spesa e ritorni ancora più rapidi», spiega Mennini.
Ma ora la vera sfida per procedere all'eradicazione della malattia dovrà necessariamente passare dall'individuazione e trattamento di quel mondo "sommerso" rappresentato da chi è positivo al virus senza sapere di esserlo. Secondo le stime emerse dal rapporto di EpaC sarebbero tra i 71 e i 130 mila. La quota principale del sommerso -si legge nel report- è rappresentata da tossicodipendenti (tra 29mila e 46mila) e da persone over65 (tra 35mila e 57mila) e, in percentuale inferiore, da persone sotto i 65 anni. «I risultati di questa nuova indagine - spiega Ivan Gardini, presidente di EpaC - evidenziano e confermano un aspetto sul quale insistiamo da diverso tempo: ormai, la maggior parte dei pazienti da curare vanno cercati in serbatoi al di fuori delle strutture autorizzate, e sono necessari piani di eliminazione regionali in grado di organizzare la presa in carico e l’avvio al trattamento dei pazienti da curare tramite il coinvolgimento di tutti gli stakeholders interessati (carceri, SerD, Medici di Famiglia, ndr) e l’adozione di micro e macro percorsi diagnostici-terapeutici assistenziali funzionali a tale obiettivo. Purtroppo, sono ancora troppo poche le Regioni che si stanno organizzando in questa direzione, nonostante vi siano risorse vincolate per l’acquisto di farmaci anti HCV, raccomandazioni dell’OMS, e quantità industriali di studi clinici che evidenziano la necessità di curare tutti i pazienti il prima possibile».