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Fabio Di Todaro
pubblicato il 18-02-2021
aggiornato il 07-04-2021

Coronavirus: cosa è importante sapere sulla variante «inglese»



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Covid-19: attualmente in Italia quasi 1 caso su 5 è dovuto alla variante «inglese». Virus sicuramente più contagioso. Documentato in due studi un aumento della letalità

Coronavirus: cosa è importante sapere sulla variante «inglese»

Quasi 1 contagio su 5 (il 17.8 per cento) di quelli registrati in Italia all'inizio di febbraio è da ricondurre alla variante «inglese» del coronavirus. Il risultato dell'indagine di prevalenza condotta dall'Istituto Superiore di Sanità per dare una misura della presenza della più recente «versione» di Sars-CoV-2 nel nostro Paese vale come una conferma. Anche in Italia - così come nel resto d’Europa: in Francia la prevalenza è del 20-25 per cento, in Germania sopra il 20 per cento - la  variante «inglese» del virus sta prendendo piede. Cosa sappiamo di questa epidemia nella pandemia? Quali rischi ci sono per la popolazione? Perché molti esperti, negli ultimi giorni, hanno invocato misure più restrittive?


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COSA SAPPIAMO DELLA VARIANTE «INGLESE»?

La variante VOC 202012/01, lineage B.1.1.7, è definita per la presenza di numerose mutazioni nella proteina Spike del virus e da mutazioni in altre regioni del genoma virale. Questa versione è stata identificata per la prima volta nelle regioni sud-orientali del Regno Unito a dicembre, in concomitanza con un rapido aumento nel numero di nuovi casi confermati di infezione da Sars-CoV-2. In realtà, come documentato da alcuni studi retrospettivi, la variante B.1.1.7 era già presente in Europa a partire dallo scorso mese di settembre. La sua diffusione è piuttosto rapida, come dimostra il dato secondo cui a oggi sono oltre 80 le nazioni ad aver notificato almeno un caso di infezione provocato dalla variante «inglese» del coronavirus. Al dato statistico, si abbina anche l’evidenza di diversi studi scientifici. Con ogni probabilità, dunque, questa nuova versione del coronavirus è più contagiosa. Non è certo, invece, che sia più aggressiva, sebbene due studi (pubblicati sul British Medical Journal e su Nature: riportati tra le fonti) abbiano evidenziato la comparsa della Covid-19 in forma severa in alcuni dei pazienti contagiati (con un aumento della letalità). Non è invece in discussione l’efficacia dei vaccini. Al di là di quello con cui si viene immunizzati, tutte le evidenze al momento disponibili hanno confermato la risposta immunitaria anche in caso di contagio con la variante «inglese».

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VARIANTE «INGLESE»: QUAL È LA SITUAZIONE IN ITALIA?

Vista la diffusione in Europa, l'Istituto Superiore di Sanità ha voluto scattare un'istantanea dei contagi in Italia. L'indagine è stata effettuata chiedendo ai laboratori delle Regioni e Province autonome di selezionare dei sottocampioni di casi positivi e di sequenziare il genoma del virus, secondo le modalità descritte nella circolare del ministero della Salute dell'8 febbraio. «L’indagine ci dice che nel nostro Paese, così come nel resto d’Europa, c’è una circolazione sostenuta della variante, che probabilmente è destinata a diventare quella prevalente nei prossimi mesi», si legge nel documento. Nello specifico, le Regioni caratterizzate da una maggiore circolazione della variante «inglese» sono risultate l'Abruzzo, la Lombardia, la Campania, il Veneto e il Lazio. Nell'ultima rilevazione, risalente alla fine di marzo, quasi 9 nuovi casi su 10 in Italia (86.7 per cento) erano da ascrivere alla variante inglese. Da qui la necessità di un monitoraggio stringente, che «consentirebbe, assieme al rafforzamento delle misure di mitigazione, di contenere gli effetti della nuova variante, mentre si prosegue con le vaccinazioni», fa sapere l'Istituto Superiore di Sanità.


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COSA SAPERE SE SI È AVUTA LA MALATTIA O SE SI È VACCINATI 

La variante «inglese», pur avendo caratteristiche differenti dal virus iniziale, viene riconosciuta dagli anticorpi generati dalla malattia o dalla vaccinazione. Ciò vuol dire che quando il corpo viene in contatto con questa nuova versione di Sars-Cov-2 - o con una porzione della proteina spike, in caso di profilassi vaccinale - il sistema immunitario produce anticorpi differenti in grado di aggredire la proteina Spike. Per questo motivo, finora, la variante «inglese» non ha destato preoccupazioni relativamente al rischio di una nuova infezione grave nelle persone che hanno già superato la Covid-19 o in coloro che hanno completato il ciclo vaccinale. L'evidenza più solida, in questo caso, proviene da Israele. L'efficacia della vaccinazione sui numeri della pandemia non è stata intaccata, sebbene la variante sia presente in maniera predominante.

VARIANTE «INGLESE»: MANTENERE ALTA LA GUARDIA

Notizie in parte rassicuranti, dunque. Ma non per questo si può abbassare la guardia. Monitorare l'evoluzione dei virus è fondamentale, al fine di compiere una corretta prevenzione. Anche in chiave vaccinale, visto che a fronte di una variazione significativa della proteina Spike, sarebbe necessario modificare la composizione dei vaccini (così come accade ogni anno con il vaccino antinfluenzale). Per questo l'Istituto Superiore di Sanità ha fatto sapere di essere pronto a ripetere l'indagine, per verificare la velocità di diffusione della variante «inglese» e l'eventuale comparsa di nuove forme del virus. Anche il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (Ecdc), partendo da quanto accaduto in Gran Bretagna tra dicembre e gennaio, invita a tenere alta la guardia: «Nei Paesi in cui la variante B.1.1.7 circola di più, si registra un aumento dei contagi. E, in alcuni casi, forme di malattia più severa. Ciò sta comportando un aumento dei ricoveri e della mortalità, legata anche al sovraccarico dei sistemi sanitari».

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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