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Martina Morandi
pubblicato il 05-12-2023

Nuove terapie per colpire i geni alterati nella leucemia linfoblastica acuta



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Studiare i geni che sostengono la proliferazione delle cellule tumorali è fondamentale per impostare un percorso terapeutico personalizzato: la ricerca di Calogero Mazzara

Nuove terapie per colpire i geni alterati nella leucemia linfoblastica acuta

La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è la forma di leucemia infantile più comune in Italia. Nonostante negli ultimi anni il tasso di guarigione sia migliorato, grazie a nuovi protocolli farmacologici, la LLA rappresenta la principale causa di morte infantile per cancro in tutto il mondo. I linfoblasti (le cellule immunitarie che assumono carattere tumorale nella LLA) presentano spesso alterazioni genetiche: una delle più frequenti è la rottura e ricombinazione di due specifici cromosomi (9 e 22), che ha come conseguenza la “fusione” dei geni presenti sui cromosomi stessi: il risultato è la formazione di proteine alterate che sostengono la proliferazione delle cellule tumorali.

Calogero Mazzara è ricercatore presso Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori a Monza: la sua ricerca vuole identificazione le proteine prodotte dai geni che si sono fusi in maniera aberrante. Il progetto potrebbe essere utile per le nuove diagnosi di LLA e per i pazienti recidivanti, così da monitorare la risposta al trattamento: sarà sostenuto per il 2024 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.

Calogero, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«Il nostro lavoro nasce dalle evidenze di pregressi studi scientifici sulla LLA in età pediatrica, i quali hanno individuato la presenza di geni che si rompono e si fondono tra loro, i così detti geni di fusione, che danno origine a trascritti (proteine, N.d.R.) alterati. Queste proteine, assenti in condizioni normali, sostengono la proliferazione incontrollata delle cellule tumorali».

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«I farmaci di nuova generazione agiscono proprio su questi trascritti di fusione, inibendo principalmente le funzioni degli enzimi tirosin-chinasi (cioè le proteine prodotte dai geni coinvolti N.d.R.). Individuare nuovi bersagli molecolari potrà condurre allo sviluppo di nuovi farmaci, possibilmente meno tossici e più selettivi per le cellule tumorali, al fine di aumentare le probabilità di guarigione».

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Come intendete condurre il lavoro quest’anno?

«Il nostro progetto prevede l’identificazione, mediante sequenziamento dell’RNA, anche noto come analisi del trascrittoma, dei geni di fusione delle tirosin-chinasi (della classe ABL), in pazienti che ricevono una diagnosi di LLA acuta o che presentano una recidiva. Il progetto si avvarrà della collaborazione tra il laboratorio di ricerca, che condurrà le analisi molecolari, e i medici che hanno a carico la gestione clinica dei pazienti e il monitoraggio della risposta ai trattamenti».

Calogero, cosa ti piace di più della ricerca?

«Il rigore e la curiosità necessari per procedere nello sviluppo di un progetto».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«Tutto ciò danneggia la collaborazione tra colleghi, come la competizione malsana».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Umanità e speranza».

Qual è la ragione che ti spinge a fare ricerca?

«L’attenzione per la persona umana e il desiderio di poter contribuire ad alleviare le sofferenze di un malato».

Quali sono gli aspetti in cui la scienza e la comunità scientifica possono migliorare?

«Ritengo importante approfondire e sviluppare la relazione tra mentore e allievo. Occorre, sia che i giovani trovino una figura qualificata di riferimento che possa seguirli nel loro percorso di formazione, sia che il loro mentore sappia riconoscere le doti e particolarità che li caratterizzano per permettere loro di esprimersi e realizzarsi».

Una figura che ti ha ispirato nella tua vita personale?

«Il premio Nobel Rita Levi Montalcini. I valori che personalmente mi ha trasmesso sono quelli di rimanere saldi nei propri principi e di portare avanti quotidianamente il proprio lavoro con tenacia, determinazione e coraggio».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto il ricercatore?

«Forse avrei intrapreso la carriera diplomatica».

Calogero, raccontaci di te: cosa fai nel tempo libero?

«Mi piace camminare nella natura o girare per la città con la mia macchina fotografica e un paio di cuffie nelle orecchie».

Hai famiglia?

«Sì, sono sposato da quattro anni».

Se un giorno tuo figlio o figlia ti dicesse che vuole fare il ricercatore, come reagiresti?

«Sarei felice della sua scelta e lo incoraggiamo a proseguire con determinazione, senza fermarsi di fronte alle delusioni e alle difficoltà».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commosso?

«Recentemente, durante un viaggio in Germania, in visita al campo di Dachau: è triste pensare fino a dove può arrivare la cattiveria umana».

C’è un momento della tua vita che vorresti incorniciare?

«Sicuramente la mia prima esperienza in Africa».

Qual è la cosa di cui hai più paura?

«Perdere la propria libertà».

Quella che ti fa più ti fa arrabbiare?

«Il pregiudizio e i favoritismi».

E quella che ti fa ridere a crepapelle?

«Le serate trascorse con gli amici».

Il libro che più ti piace o ti rappresenta?

«Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini».

C’è un personaggio famoso che ti sarebbe piaciuto incontrare?

«Mi sarebbe piaciuto incontrare Gino Strada, fondatore di Emergency, per ascoltare i racconti delle sue esperienze e delle sue lotte».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Di continuare a farlo con generosità, perché siamo tutti responsabili del progresso della scienza. Grazie!». 

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