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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 04-02-2019

Il cancro? Non sparirà. Serve un'«alleanza» per la diagnosi precoce



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Bilanci e prospettive, nella giornata mondiale contro il cancro. Nel 2018 «scoperti» 18 milioni di malati in tutto il mondo. Serve potenziare la diagnosi precoce per salvare più vite

Il cancro? Non sparirà. Serve un'«alleanza» per la diagnosi precoce

Ogni anno, soprattutto in questo giorno, la domanda che riecheggia è sempre la stessa. Ci sarà un giorno in cui il cancro scomparirà da questa terra? Pur senza addentrarsi nelle caratteristiche dei tumori, molti dei quali tra loro diversi, la risposta al quesito è negativa. Ma questo non vuole e non deve essere un invito alla rassegnazione. Di cancro ci si ammala più che in passato. Ma è vero anche che cresce il numero di persone in grado di vivere oltre la malattia. La sfida che viene lanciata oggi - nella giornata mondiale dedicata alle malattie oncologiche - è quella di rendere i tumori superabili o comunque malattie con cui è possibile convivere. Per farlo, occorre però potenziare quella rete di servizi che accorciano i tempi della diagnosi. Molti tumori possono essere gestiti e finanche curati, a patto che vengano rilevati e trattati il prima possibile. Individuare un tumore a uno stadio iniziale rappresenta una delle opportunità più ghiotte per ridurre l'impatto di queste malattie a tutte le latitudini.


Biopsia liquida: sì per monitorare le cure, no per la diagnosi precoce

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04-05-2017
LA DIAGNOSI PRECOCE SALVA LA VITA

«Io sono e io farò» - il tema scelto per il World Cancer Day 2019 - sta a sottolineare proprio l'opportunità che ogni individuo dovrebbe avere di sottoporsi a uno screening mirato alla diagnosi precoce di un tumore. Il messaggio, che non esclude l'impatto che la prevenzione ha nel ridurre la portata delle malattie oncologiche, punta naturalmente a raggiungere la comunità. E, nello specifico, coloro che si occupano di sanità pubblica e che, alla luce di questo richiamo, hanno il dovere di agevolare l'accesso dei pazienti a questi percorsi (ove già presenti) o di metterne a punto ad hoc. D'altra parte, ripensando ai 18 milioni di cittadini del mondo che nel 2018 si sono ammalati di cancro, poco meno di un terzo (cinque milioni) avrebbe potuto intraprendere un percorso di cure più efficace se solo fossero stati trattati in maniera più precoce. Al resto proverà a pensarci la comunità dei ricercatori che, con le dovute differenze tra le singole neoplasie, lavora ogni giorno per mettere a punto strumenti in grado di scovare un tumore in un fase «pre-clinica».

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UNA BATTAGLIA EQUA CONTRO IL CANCRO

Quando un tumore viene rilevato in una fase precoce, con la possibilità di associarlo a un trattamento mirato, la sopravvivenza oltre i cinque anni (dalla diagnosi) è molto più alta rispetto a quanto non si registri in caso di diagnosi tardiva. Questo perché un cancro che viene localizzato «in situ» può essere curato molto meglio - in Italia i tassi di sopravvivenza sono comunque tra i più alti in Europa - rispetto a una malattia più estesa e spesso già diffusa ad altri organi (metastatizzata). Un simile approccio, quando possibile, non tiene conto nemmeno nelle differenze sociali e dunque nelle opportunità di attingere ai propri fondi per curarsi. Ecco perché è considerato il più efficace, indipendentemente dal funzionamento dei singoli sistemi sanitari. A ciò occorre aggiungere la migliore razionalizzazione delle risorse economiche, dal momento che investire nella diagnosi precoce (come testimoniano diversi studi, riportati nelle fonti) vuol dire far risparmiare milioni per l'assistenza a un paziente che, al culmine del percorso di cure, potrebbe anche non sopravvivere al proprio tumore. 
 

Diagnosi precoce: ancora troppe differenze tra Nord e Sud

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LACUNE DA COLMARE

Se gli attori impegnati in tutto il mondo contro il cancro hanno deciso di puntare l'attenzione sulla diagnosi precoce, è perché la forbice tra la consapevolezza delle potenzialità e l'applicazione è ancora piuttosto ampia. Alla base incidono una moltitudine di fattori: la carenza di servizi di assistenza essenziali in alcune aree del mondo, la necessità di investire in salute, il deficit culturale che può portare alla rassegnazione piuttosto che alla consapevolezza, un senso del pudore accentuato che si traduce in un danno per la propria salute. Ecco perché è necessaria un'azione a più livelli, che coinvolga l'intera popolazione: partendo da chi ha meno risorse per coltivare la propria salute. Oggi bisogna far conoscere il cancro anche ai più giovani, parlandone con loro (come Fondazione Umberto Veronesi fa con il progetto #Fattivedere, in corso in dieci città italiane) per aiutarli a comprendere la malattia, a intercettare eventuali primi sintomi, a sostenere una persona in cura. 

GLI SCREENING GIA' DISPONIBILI

Andando sul pratico, sono tre gli screening oncologici oggi offerti dal servizio sanitario italiano: riguardano il tumore al seno, al colon-retto e alla cervice uterina. Nei confronti di queste tre malattie, la mammografia, la ricerca del sangue occulto nelle feci e del Dna del papillomavirus (Hpv-Dna) risultano le tre metodiche più efficaci per giungere (eventualmente) a scoprire quanto prima le neoplasie. Ma la ricerca, negli ultimi dieci anni, ha portato a raccogliere risultati significativi (per categorie selezionate della popolazione) anche per quanto riguarda il tumore della prostata e quello del polmone (Fondazione Umberto Veronesi è impegnata in prima linea con il progetto SMAC). Si lavora pure per aggiungere nuove opportunità nei confronti del tumore al seno (a questo punta lo studio P.I.N.K.) e per offrirne di simili per i tumori dell'ovaio, dello stomaco e del pancreas (ma per queste malattie le conclusioni non sono ancora definitive). Il futuro, in ogni caso, appare fecondo di novità: dal ruolo dei biomarcatori (sostanze naturalmente presenti nel sangue, che in caso del sangue possono vedere crescere rapidamente i propri livelli) all'impatto crescente delle diverse metodiche di imaging. Quanto basta per spiegare che la lotta al cancro va giocata su più fronti: dalla prevenzione alla diagnosi precoce, fino alla messa a punto di nuove terapie per dare una speranza a quei pazienti che non sono riusciti a sconfiggere la malattia con le cure già disponibili.

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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