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Oncologia

Un prelievo di sangue potrà prevedere la risposta nel tumore dell'ovaio?

Un primo studio internazionale avrebbe identificato due possibile proteine predittive dell’efficacia terapeutica a trattamenti angio-genetici

Sangue ancora in primo piano. Questa volta per la sua potenzialità, futuribile, di potere identificare fra le donne affette da tumore ovarico quali potranno rispondere con efficacia a trattamenti angiogenetici che impediscono la crescita del tumore. Il test, che potrebbe essere disponibile già a partire dai prossimi anni, è stato messo a punto da un gruppo di ricercatori del Manchester Cancer Research Center che hanno pubblicato i risultati della loro ricerca su Clinical Cancer Research.

 

IL TEST

Lo scopo del test è stabilire preventivamente la risposta a una terapia anti-angiogenetica, principalmente a base di bevacizumab, il principio attivo più utilizzato nella cura di un tumore dell’ovaio. Si effettua con un prelievo di sangue, attraverso cui scovare e analizzare due particolari proteine (Ang1 e Tie2) la cui presenza e livelli sembrerebbero determinanti per questa neoplasia. I primi risultati, promettenti seppure ottenuti su un campione ancora ristretto, arrivano da un trial internazionale che ha preso in considerazione da un lato donne sottoposte a chemioterapia tradizionale più placebo e dall’altro donne  in trattamento con chemioterapia più bevacizumab.

«Dal nostro studio - spiegano gli autori - analizzando i livelli delle due proteine prima dell’inizio della terapia, è stato possibile osservare che donne con angiopoietina 1 (Ang 1) in grado elevato e Tunica internal endothelial cell kinase 2 (Tie2) bassa, mostravano le migliori probabilità di risposta alla terapia anti-angiogenetica. Di contro la presenza di alti livelli di entrambe le proteine sembrava essere un fattore negativo all’efficacia terapeutica». Per trarre conclusioni più significative occorrerà avviare uno studio più ampio: «Se le premesse fossero confermate – commenta ancora Caroline Dive, fra gli autori dello studio -  potremmo risparmiare alle pazienti che non rispondono alla terapia effetti collaterali inutili e ridurre i costi della spesa pubblica».

 

L’OPINIONE DELL’ESPERTO
 
Il primo passo (e la sfida) è arrivare però a comprendere se la valutazione congiunta dei livelli di Ang1 e Tie2 possa considerarsi un biomarcatore predittivo di sopravvivenza più lunga, libera da malattia, in donne in trattamento con bevacizumab. «E una volta conosciuta l'esatta biologia del tumore - dichiara Nicola Surico, ordinario di ginecologia e ostetricia all'Università del Piemonte Orientale, Novara, e attuale Presidente dei chirurghi italiani - attuare una terapia personalizzata per migliorarne gli esiti ed evitare trattamenti poco efficaci per le pazienti con importanti effetti collaterali».
 

 

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