Bevande vegetali: per i bambini non sostituiscono il latte vaccino
I bambini non dovrebbero mai consumare le bevande vegetali per adulti nel primo anno di vita. I prodotti da scegliere al posto del latte materno o artificiale
Erano nate come prodotti rivolti a una nicchia di consumatori, a partire da coloro che hanno un’allergia alle proteine del latte vaccino. Ma in meno di dieci anni, le bevande vegetali sono entrate a far parte del nostro quotidiano. Secondo le ultime rilevazioni, sono tra 10 e 12 milioni gli italiani che le comprano abitualmente. Le più consumate rimangono quelle a base di soia, seguite dalle analoghe realizzate usando come base il riso, la mandorla e l’avena. Nessun problema se a preferirle sono gli adolescenti e gli adulti. Per loro, il latte di origine animaleè una questione di gusto: non una necessità. Ma lo scenario cambia se, all’interno di una famiglia, a consumare le bevande di origine vegetale sono i bambini. A maggior ragione nei primi anni di vita.
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BEVANDE VEGETALI: MEGLIO ASPETTARE
Il profilo nutrizionale delle bevande vegetali è molto diverso da quello del latte vaccino. Anche per questo motivo, a seguito di una sentenza della Corte di Giustizia Europea, da quasi tre anni non è più possibile usare la dicitura «latte» per tutti i derivati di origine vegetale. Questione di forma? No, anche di sostanza, chiarisce la Società nordamericana di Gastroenterologia Pediatrica, Epatologia e Nutrizione. Secondo gli esperti, che hanno pubblicato un position paper sul tema sul Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition, «nel primo anno di vita, né il latte materno né quello in formula dovrebbero essere sostituiti dalle bevande vegetali», con riferimento a quelle per gli adulti da cui siamo circondati in supermercati, ipermercati e store online, che non sono destinate all'infanzia. Il rischio è quello di alterare il normale percorso di crescita di un bambino. I cosiddetti «latti» di riso, soia e avena hanno infatti un contenuto proteico di molto inferiore a quello del latte vaccino. Ma a difettare sono anche diversi micronutrienti: il calcio, il ferro, le vitamine B12 e D. Ampio il ventaglio delle potenziali conseguenze: dal ritardo dicrescita al ridotto aumento di peso, dalla comparsa di anemia alla tendenza a sviluppare calcoli renali. Fino, nei casi più gravi, al rischio di sviluppare malattie quasi dimenticate: dallo scorbuto al rachitismo.
Lo scenario tratteggiato Oltreoceano è più ampio di quello che si osserva lungo la Penisola, dove i consumi di bevande vegetali da parte dei bambini sono inferiori a quelli degli Stati Uniti. «Nel nostro Paese i casi di deficit nutrizionale così grave sono un’eccezione - rassicura Paolo Lionetti, presidente della Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica -. Le situazioni più critiche osservate nei nostri ospedali hanno sempre riguardato dei lattanti alimentati con una dieta veganasenza le supplementazioni necessarie». Il tema dell’integrazioneè cruciale nel momento in cui l’alimentazione complementare (svezzamento)non prevede il ricorso ad alimenti di origine animale. In questi casi, se non si prosegue con l'allattamento al seno e si escludono le alternative di origine animale, si può ricorrere a latti in formula a base di proteine vegetali (in genere tratte dalla soia) specifici per i bambini, con le integrazioni di vitamine A, B12 (anche nella dieta della mamma, durante l’allattamento al seno) e D, del calcio, dell’acido folico, del ferro, dello zinco e degli acidi grassi omega 3 (DHA e EPA). Quanto al resto, se la famiglia è vegana è rinuncia a introdurre anche le uova nella dieta del bambino, «fino ai due anni, l’apporto di proteine vegetali dovrebbe raggiungere il 30-35 per cento dell'introito calorico giornaliero: questo perché sono meno assimilabili rispetto a quelle animali - aggiunge Lionetti, che dirige la struttura complessa di gastroenterologia e nutrizione dell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze -. Di positivo c'è che questo incremento non sembra causare aumento del rischio di obesità».
La crescita dei consumi di bevande vegetali è da ricondurre alla scelta di seguire una dieta vegana, alla sensazione che porta a considerarle più salutari o a una'allergia alle proteine del latte vaccino.Quest'ultimo è però l'unico caso in cui un bambino ha la necessità di rinunciare alle formule di origine animale. «In queste situazioni si ricorre agli idrolisati spinti: prodotti disponibili anche a base di riso o di soia, in cui le proteine sono scisse in peptidi talmente piccoli da non essere riconosciuti dal sistema immunitario - dichiara Michele Miraglia Del Giudice, docente di pediatria e allergologia all'Università della Campania Luigi Vanvitelli di Napoli -. Nelle forme più gravi, ma solo su indicazione del medico, si può ricorrere alle miscele amminoacidiche, che contengono cocktail di amminoacidi liberi, non assemblati in peptidi». In ogni caso, comunque, sono da escludere tutte quelle bevande di origine vegetale destinate agli adulti. «Dal punto di vista nutrizionale, non sono bevande non adatte ai più piccoli».
IL LATTE MATERNO RIMANE INSOSTITUIBILE
Tutte le indicazioni fornite fin qui riguardano il periodo che parte dal sesto mese di vita. Questo perché prima, stando a quanto raccomandato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità e dalle principali società scientifiche, un neonato dovrebbe essere nutrito esclusivamente con il latte materno. Soltanto se questo non fosse disponibile, l’alternativa da considerare è rappresentata dai latti formulati per l’infanzia. La maggior parte di questi sono derivati da quello vaccino (modificati per renderli più simili al latte materno). Se invece si vuole ricorrere a formule vegetali, ne esistono di specifiche per l’infanzia a base di proteine della soia. «Ma eviterei di ricorrervi prima del sesto mese di vita», è il pensiero di Lionetti. L'importante è avere un confronto costante su questi argomenti con il pediatra di libera scelta ed evitare il fai-da-te. Detto ciò, nell'ambito del percorso di svezzamento, è raccomandato il proseguimento dell’allattamento materno almeno dai 6 ai 12 mesi (se possibile, anche oltre). Se invece non si ha questa opportunità, l'indicazione è quella di ricorrere ai latti di proseguimento (formula 2). Una volta superato l'anno di vita, invece, anche le bevande vegetali riservate agli adulti possono essere progressivamente inserite nella dieta: meglio se arricchite in calcio e non in zuccheri. «E sempre - tiene a precisare Lionetti, che è anche ordinario di pediatria all'Università di Firenze - nell'ambito di una dieta varia, che preveda un consumo frequente di piatti a base di cereali e legumi, in modo da completare il pannello di amminoacidi necessari. Oltre che, naturalmente, di frutta e verdura».
Mamme: dieci consigli da seguire se vostro figlio non mangia
Tutta la famiglia deve cercare di avere la stessa alimentazione Il bambino è influenzato a livello sociale nella scelta degli alimenti e tende a mangiare per imitazione. In questo ambito la famiglia ricopre un ruolo cruciale come modello
Riproponete gli alimenti più volte Il consumo ripetuto di un alimento aumenta il gusto del bambino per l'alimento stesso. Non presentate lo stesso piatto in maniera continuativa, ma fatelo a distanza di tempo per non generare noia. Sulla tavola devono essere proposti sempre tutti gli alimenti, compresi quelli non graditi dal piccolo, cucinati in maniera differente
Non costringete il bambino ad assaggiare un alimento con forza L'assaggio forzato può accrescere l'avversione del piccolo. Anche proporre un premio a seguito dell'azione non porta il bambino a consumare volontariamente il cibo, piuttosto a sovralimentarsi solo per ottenere il premio
L'orario del pasto deve essere rispettato Il pasto deve essere un momento ben preciso della giornata: è opportuno che tutta la famiglia mangi alla stessa ora e alla stessa tavola
No giochi, no tv Il pasto è un momento importante, non sono concesse distrazioni. Occorre invitare il piccolo a spegnere la televisione e ad allontanare i giochi. Quindi lasciatelo libero di sperimentare e conoscere gli alimenti presenti sulla tavola
Portatelo a fare spesa Mamma e papà possono lasciarsi aiutare dal proprio figlio nella scelta degli alimenti da acquistare. Rendete partecipe il bambino nel momento della spesa: così si sentirà padrone delle proprie scelte
Organizzate un percorso di familiarizzazione col cibo Il rifiuto di alcuni alimenti si accompagna spesso al rifiuto ad assaggiare. Per portare i ragazzi a provare il sapore di un cibo è necessario stimolarne la curiosità attraverso i sensi: dalla conoscenza alla sperimentazione
Coinvolgete il bambino mentre si cucina Il bambino deve poter prendere confidenza con ciò che ha scelto al supermercato attraverso i cinque sensi in un percorso di avvicinamento al nuovo: lavare, sbucciare, tagliare e inventare ricette insieme a mamma e papà per essere invogliato a gustare le proprie creazioni
L'ultimo passo: assaggiare assieme Dopo aver preparato insieme il piatto, mangiate qualcosa che il bambino ha visto nascere e che ha conosciuto in tutte le fasi di preparazione. Questo comportamento può rassicurarlo e fargli vincere la neofobia. Se ciò non accade, non forzatelo nell'assaggio, ma riproponete nel tempo e più volte il cibo non amato, in modalità diverse
La cucina diventa una festa Prendete un cappellino da chef e rendete partecipe il bambino. Il tempo giocherà a favore di tutta la famiglia