Infarto: la paura del Covid-19 allontana i pazienti dall'ospedale
Quasi dimezzato (apparentemente) il numero di pazienti colpiti da un infarto. Gli esperti invitano a non rimandare le cure
La prima a lanciare l’allarme, all'inizio dell’emergenza, è stata la Società Italiana di Cardiologia. «Stiamo registrando una riduzione degli accessi in pronto soccorso a causa dell’infarto del miocardio - aveva ammesso il presidente, Ciro Indolfi -. Temiamo che i pazienti stiano rinunciando a richiedere i soccorsi per la paura del contagio». Soltanto un’ipotesi, nella prima decade di marzo, che sulla base dell’esperienza accumulata nel mese successivo sembra essersi consolidata. Sono ormai diversi gli ospedali italiani che segnalano un drastico calo di questi pazienti. E, di conseguenza, delle procedure messe in atto per curarli. Un problema non da poco, che nel futuro prossimo rischia di «portarci a constatare che, nel picco della pandemia di coronavirus, tante persone sono morte anche a causa di altri problemi di salute», è quanto dichiarato da Paolo Veronesi, nel corso del primo webinar del ciclo «Verso il Futuro», organizzati da Fondazione Umberto Veronesi.
GLI INTERVENTI UTILI PER UN INFARTO DEL MIOCARDIO
GLI «INVISIBILI» CON UN INFARTO
Dal Nord al Sud del Paese, le preoccupazioni per i pazienti alle prese con la principale cause di morte cardiovascolare si levano pressoché all'unisono. L’emergenza è descritta dai primi dati diffusi dalle regioni più colpite dal coronavirus. In Piemonte, tra marzo e aprile di quest’anno, 239 pazienti sono stati trattati con un’angioplastica primaria: erano stati 382 nello stesso periodo dello scorso anno. Mentre il numero totale delle procedure di «riapertura» dei vasi ostruiti - considerando dunque anche quelle programmate - è passato da 1.714 a 945. Non sembra essere andata meglio all’ombra della Madonnina, a leggere le statistiche dell’esperienza clinica del Centro Cardiologico Monzino. Dallo scoppio dell’emergenza Covid-19, la mortalità per infarto acuto è quasi triplicata e le procedure salvavita si sono ridotte del 40 per cento. Il riscontro, considerando improbabile un calo del numero di infarti, lascia pensare che «se la tendenza dovesse persistere, la mortalità per infarto supererà di gran lunga quella direttamente associata alla pandemia», questo il pensiero di Giancarlo Marenzi (responsabile della unità di terapia intensiva cardiologica), Antonio Bartorelli (a capo dell’unità di cardiologia interventistica) e NicolaCosentino (terapia intensiva cardiologica). A questi dati, si associano quelli già pubblicati dai medici spagnoli e statunitensi, con questi ultimi che indicano un incremento anche delle morti per arresto cardiaco.
Un problema non da poco, se si considera che l’infarto richiede un trattamento tempestivo. Si sa da tempo che, in caso di blocco della circolazione sanguigna a livello cardiaco, più precoce è l’intervento, maggiori sono le probabilità di sopravvivere. Per ogni dieci minuti di ritardo, ricordano gli esperti della Società Italiana di Cardiologia, la mortalità nei due anni successivi cresce del tre per cento. Chiarisce Francesco Romeo, direttore della scuola di specializzazione in cardiologia dell’Università Tor Vergata di Roma. «In caso di infarto, la rapidità dei soccorsi è indispensabile. Altrimenti la prognosi dei pazienti peggiora progressivamente all’aumentare del ritardo nel trattamento. Detto questo, oggi sappiamo che non esiste una soglia che permetta di discriminare tra intervento tempestivo o meno». In soldoni, prima si ripristina la circolazione sanguigna, maggiori sono le chance che una persona ha di sopravvivere all'infarto.
I CAMPANELLI D’ALLARME DA NON IGNORARE
Al di là del coronavirus, è la vittima a dover riconoscere i sintomi di un possibile infarto. Il dolore oppressivo al centro del petto che insorge a riposo e si irradia al braccio sinistro rappresenta la manifestazione più tipica. Ma spesso l’attacco cardiaco si presenta in maniera subdola: con un dolore addominale o nella parte posteriore del torace mai avvertito prima, che può determinare l'insorgere dell’affanno (a riposo) o uno svenimento. A ciò occorre aggiungere che la malattia può fare capolino in maniera differente, tra uomini e donne. In queste situazioni, a ogni modo, non c'è tempo da perdere. I soccorsi vanno chiamati quanto prima, se non è possibile essere accompagnati in pronto soccorso. In ambulanza o in ospedale, «la diagnosi di infarto deve essere fatta in meno di dieci minuti», ricorda Indolfi, che dirige l'unità di cardiologia interventistica del Policlicnico universitario di Catanzaro. Una volta riconosciuto il problema, va valutato il trattamento più indicato. Nei casi meno gravi, può essere sufficiente la trombolisi, che prevede la somministrazione di un farmaco per dissolvere il coagulo che ostruisce la circolazione delle coronarie (le arterie che portano il sangue al cuore). Diversamente, il paziente deve essere sottoposto all'angioplastica in una sala apposita, definita di emodinamica. Quando questa non è presente nella struttura che ha prestato il primo soccorso, viene disposto il trasferimento in un'altra struttura. Prassi che è rimasta in vigore anche nel corso dell’emergenza, grazie all’individuazione in tutte le regioni di ospedali «hub» deputati al trattamento dell’emergenze cardiovascolari: con percorsispeciali che hanno permesso di ridurre il contagio tra i pazienti.
A preoccupare i cardiologi, però, non è soltanto il mancato trattamento acuto dell'infarto del miocardio. «C’è un altro aspetto che rischia di provocare un aumento dei decessi: la mancata aderenza terapeutica - avverte Giuseppe Musumeci, responsabile dell’unità operativa complessa di cardiologia dell’ospedale Mauriziano di Torino -. In questo periodo sono stati annullati tutti gli interventi programmati e le visite di controllo. A ciò occorre aggiungere che molti malaticronici, penso per esempio a chi è in cura per l'ipertensione o per l'ipercolesterolemia(tra i principali fattori di rischio cardiovascolare), potrebbero aver sospeso le cure, nonostante il rinnovo per tre mesi dei piani terapeutici deciso dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa). Questo vuol dire che, una volta terminati i medicinali, non è necessario andare in ospedale o in ambulatorio per farseli prescrivere». Una notizia che, secondo gli specialisti, è però sfuggita a molti pazienti e a diversi farmacisti. A quale prezzo, lo scopriremo con il passare dei mesi. «Dobbiamo fare il possibile per evitare che questi pazienti finiscano per pagare un prezzo troppo alto a causa della pandemia, anche tra uno o due anni», chiosa l'esperto.
Il decalogo per proteggere il cuore durante le cure oncologiche
Controllo del peso corporeo Il peso può incrementare sotto l’effetto delle terapie. Per questo motivo un supporto nutrizionale adeguato è fondamentale nella prevenzione del sovrappeso, per abbassare il rischio di malattie cardiovascolari e ridurre quello di recidiva
Stile di vita attivo Vale la pena abituare il corpo al movimento ogni volta che è possibile, spostandosi per esempio a piedi o in bicicletta ed evitando, quando possibile, ascensori e scale mobili
Sport con regolarità Pratica attività fisica almeno 2-3 volte a settimana contrasta gli effetti collaterali delle terapie e riduce nettamente sia il rischio cardiovascolare sia di recidiva del tumore
No al fumo di sigaretta Il consiglio, valido per la prevenzione primaria di almeno 17 tumori, lo è anche per tutti coloro che hanno già avuto un tumore. I benefici dello smettere di fumare risultano infatti validi anche dopo anni di esposizione alle sostanze nocive sprigionate dalle sigarette
Meglio evitare gli alcolici L'astinenza completa da bevande alcoliche è quanto raccomanda l'Organizzazione Mondiale della Sanità per chi vuole prevenire i tumori. L'indicazione risulta valida in realtà anche nei pazienti: per le possibili interazioni tra alcol e farmaci e per il potenziale cancerogeno dell'etanolo che suggerisce cautela nelle persone che hanno già ricevuto una diagnosi di tumore
Sì al monitoraggio regolare della pressione sanguigna In caso di ipertensione, una terapia farmacologica adeguata assunta sotto controllo medico è quello che può servire: in associazione o dopo la fine delle cure oncologiche
Grassi sotto controllo I valori di colesterolo e trigliceridi possono alterarsi in corso di terapie oncologiche. Per ridurli sì a dieta, attività fisica ed eventuali farmaci ipolipemizzanti (sotto indicazione medica)
Equilibrio a tavola Una dieta ricca in vegetali, limitando o abolendo la carne rossa e gli zuccheri e i dolci, è l'ideale per accompagnare un percorso di cure oncologiche. Diete estreme, come per esempio la dieta vegana, sono più difficili da rendere equilibrate. E, peraltro, non esiste nessuna chiara dimostrazione di eventuali vantaggi
Quando occorre integrare la dieta? Il paziente oncologico, assieme al proprio specialista di riferimento, può valutare l’opportunità di assumere calcio e vitamina D per contrastare la tendenza all’osteoporosi indotta dalle terapie praticate
L'importanza della valutazione da parte del cardiologo Un percorso di cure completo non dovrebbe prescindere dal consulto di un cardiologo specializzato nell'assistenza ai malati oncologici. Il suo contributo può essere utile per avere un approccio ottimale al controllo integrato dei rischi oncologici e cardiaci