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Ginecologia

Mutilazioni genitali femminili e HPV: perché il rischio aumenta?

Il rischio di HPV è più alto nelle donne con MGF. Ecco perché screening e vaccino restano essenziali anche in Italia

Le mutilazioni genitali femminili (MGF) aumentano il rischio di complicazioni fisiche e psicologiche e, secondo studi recenti, sono associate anche a una maggiore probabilità di infezione persistente da HPV, principale causa di carcinoma del collo dell’utero

Molte bambine e donne subiscono le mutilazioni nei Paesi d’origine - soprattutto dell’Africa subsahariana - e arrivano in Italia attraverso i flussi migratori.

«In oltre vent’anni di lavoro in ginecologia pediatrica mi sono trovata davanti un solo caso sospetto di mutilazione genitale, poi escluso», spiega la dottoressa Maria Chiara Lucchetti, responsabile Alta specializzazione Ginecologia Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù. «Ma questo non significa che non ci siano: è più probabile che emergano in contesti territoriali o di medicina generale, perché le famiglie temono la segnalazione alle autorità».

COSA SONO LE MGF

Le mutilazioni genitali femminili comprendono pratiche tradizionali non terapeutiche che comportano l’incisione o la rimozione parziale o totale dei genitali esterni femminili. Sono diffuse in circa 30 Paesi - soprattutto in Africa, ma anche in alcune aree di Asia e America Latina - e interessano anche comunità migranti in Europa. Si stima che 200 milioni di donne le abbiano subite, con circa 3 milioni di bambine sotto i 15 anni a rischio ogni anno. Eseguite spesso nell’infanzia o preadolescenza, possono provocare danni fisici, psicologici e sessuali permanenti, oltre a rappresentare una grave violazione dei diritti umani. 

La dimensione esatta del fenomeno nel nostro Paese non è certa, tuttavia l’ultima indagine condotta nel corso del 2019 dall’Università Bicocca rivela la presenza al primo gennaio 2018 di 87.600 donne con mutilazioni genitali femminili, di cui 7600 minorenni

IL LEGAME TRA MGF e HPV

«Per anni non si è ipotizzato alcun legame tra MGF e HPV – spiega la dottoressa Lucchetti –, ma gli studi più recenti, condotti in Paesi dove la pratica è ancora diffusa come Nigeria e Senegal, mostrano che le donne sottoposte a mutilazione genitale hanno fino a 2,5 volte più probabilità di sviluppare un’infezione persistente da HPV. Questi dati testimoniano l’esistenza di un’associazione fino ad oggi pressoché sconosciuta: non solo un maggior rischio di contrarre il virus, ma anche un maggior rischio di persistenza dello stesso, con evoluzione negli anni di un carcinoma invasivo della cervice.

Il contesto pesa: in molte regioni dell’Africa subsahariana l’accesso agli screening è limitato e la vaccinazione anti-HPV è ancora poco diffusa. Il problema si aggrava nelle forme più avanzate di mutilazione, come l’infibulazione. «In alcuni casi il Pap test o l’HPV test diventano materialmente impossibili, e la diagnosi precoce non può essere eseguita».

PERCHÈ LE MGF POSSONO FAVORIRE L’HPV

Come spiega l’esperta, ci sono  meccanismi biologici che potrebbero spiegare l’aumento del rischio:

  1. Infiammazione cronica delle mucose
    Le mutilazioni provocano ristagno di urine, microtraumi e infezioni ricorrenti o croniche del tratto uro-genitale, con alterazione del pH e della flora batterica vaginale, rendendo le mucose più vulnerabili all’ingresso del virus.
  2. Maggiore rischio di trasformazione cellulare
    L’infiammazione cronica favorisce una replicazione cellulare più frequente, facilitando nel tempo l’insorgenza di lesioni precancerose e tumorali.

LA PREVENZIONE IN ITALIA 

La maggior parte delle MGF avviene all’estero, a volte durante i rientri estivi delle famiglie nei Paesi d’origine. Tuttavia, avvertono gli esperti, l’assenza di casi documentati non significa che la pratica non possa verificarsi in forma sommersa sul territorio italiano. 

Gli operatori sanitari devono essere adeguatamente formati, non solo per riconoscere quando ci si trova di fronte a una mutilazione, ma anche per sensibilizzare i genitori nella maniera più efficace ad adottare misure preventive.

Il vaccino anti-HPV rappresenta uno strumento fondamentale, soprattutto per chi non può accedere facilmente agli screening tradizionali. «È l’unico vaccino esistente che previene un tumore», ricorda Maria Chiara Lucchetti. «Il papillomavirus è  infatti responsabile di circa il 97% dei carcinomi della cervice. Proteggere le ragazze, e i ragazzi, significa dare loro un vantaggio che in molti Paesi non è possibile garantire».

STIGMA E RESISTENZE

Il vaccino anti-HPV è importante per tutti gli adolescenti, indipendentemente dalla presenza di MGF, perché protegge da infezioni e possibili conseguenze oncologiche. Il problema dell’aderenza vaccinale, però, è anche culturale.

«Proporre il vaccino alle adolescenti è spesso accolto con sospetto», osserva la dottoressa. «Alcuni genitori possono arrivare a percepirlo come un pregiudizio sulla futura vita sessuale della figlia. In realtà basta un solo rapporto per contrarre l’HPV, e il vaccino rimane l’unica protezione efficace».

IL DOPO COVID

La pandemia da Covid ha aggravato la diffidenza verso le vaccinazioni: le coperture HPV in Italia sono diminuite e non sono ancora tornate ai livelli pre-pandemia. Le madri che hanno vissuto personalmente lesioni cervicali o interventi sono più sensibili, ma non bastano a compensare il calo generale.

Secondo i più recenti dati del 2023, le coperture vaccinali HPV migliorano rispetto all’anno precedente, ma restano lontane dai livelli ottimali previsti dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale. Le coorti più giovani - in particolare quelle del 2011 e del 2010 - raggiungono percentuali ancora basse, rispettivamente intorno al 45% e al 61% nelle ragazze, e al 39% e 52% nei ragazzi. Anche la coorte femminile del 2008, usata come riferimento dall’OMS, si ferma al 69%. Nessuna Regione arriva al 95% di copertura, evidenziando la necessità di ulteriori interventi e recuperi vaccinali.

LA PROSPETTIVA GLOBALE

Ogni anno circa 570 mila donne nel mondo si ammalano di carcinoma cervicale, di cui 2.382 in Italia, nel 2024. Nei Paesi sviluppati, dove screening e vaccino sono diffusi, il tumore è tra le ultime cause di morte oncologica femminile. In Paesi a basso reddito, molti dei quali con alta prevalenza di MGF, è invece la prima causa di morte per tumore femminile, confermando l’importanza di vaccinazione e screening anche in contesti difficili.

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