La vita di Raffaella, ricercatrice con la passione per lo sport

Intervista a Raffaella Petruzzelli, ricercatrice del TIGEM di Napoli che lavora per «vincere» la resistenza del tumore dell'ovaio alla chemioterapia

Raffaella Petruzzelli, 41 anni, è una ricercatrice del Telethon Institute of Genetics and Medicine (TIGEM) di Napoli. Per il terzo anno, il suo progetto è sostenuto da Fondazione Umberto Veronesi. In questa breve chiacchierata, ci racconta quello che è il suo lavoro. Ma non solo. Anche la sua passione per lo sport, che condivide con le nostre Pink Ambassador.

 

Partiamo dal tuo ruolo di ricercatrice. Di cosa ti occupi nella tua ricerca?

«Il mio progetto di ricerca riguarda il tumore ovarico, una delle forme più aggressive di cancro che può colpire le donne. Questa malattia spesso arriva a sviluppare una forma di resistenza nei confronti della chemioterapia che, fondamentalmente, è la terapia farmacologica più usata per combattere questo tipo di tumore».

 

 E questo perché succede? 

«Abbiamo visto che alcune pazienti presentano alti livelli di una proteina che si chiama ATP7B che pompa il cisplatino, un chemioterapico, fuori dalla cellula. Così le cellule acquisiscono resistenza e, invece di morire in seguito alla terapia, continuano a sopravvivere. Di conseguenza queste pazienti devono cambiare terapia. Noi ricercatori stiamo lavorando per rendere di nuovo sensibili le cellule tumorali ai chemioterapici. Abbiamo visto che degli organelli presenti nella cellula possono essere modulati in modo tale da rendere di nuovo le cellule sensibili ai chemioterapici».

 

Come sta andando avanti la tua ricerca?

«Stiamo avendo risultati molto promettenti. Abbiamo individuato alcuni farmaci che sembrano essere abbastanza efficaci e possono aiutarci a creare per il futuro una terapia personalizzata, disegnata per ogni tipologia di paziente. Questo è il futuro della medicina e della ricerca. Speriamo di arrivare presto alla creazione di un protocollo sperimentale. Serve ancora molto studio, noi continuiamo ad analizzare diverse molecole e diversi fattori che potrebbero essere coinvolti. Il problema della resistenza alla chemioterapia non coinvolge un solo fattore. Dobbiamo quindi trovare il più importante da scardinare, in modo da offrire un'opportunità in più alle nostre pazienti».

 

Sei sportiva, vero? Ma non sei anche una runner?

«Non sono una runner, ma sono un’appassionata di yoga pilates. Corro, sì: ma non ho un molto fiato».

 

Che benefici senti dopo lo sport?

«Mi sento più rilassata e percepisco che il mio corpo è più tonico e in forma. Per me lo sport è un toccasana, soprattutto per liberare la mente e pensare ad altro. Quando lo pratico sento di fare qualcosa per prendermi cura di me».

 

Molte donne fanno sport proprio per avere la scusa di ritagliare un tempo da dedicare al proprio benessere.

«Io dico sempre che bastano anche dieci minuti al giorno. Cerco nella maggior parte dei casi di farlo. Non sempre è possibile, ma quei dieci minuti per me sono importantissimi».

 

Vuoi dire qualcosa alle nostre Runner?

«Devo dire che ho una grande stima per queste donne. Ho sentito alcune loro interviste nell'ambito degli eventi organizzati da Fondazione Umberto Veronesi e ogni volta mi sono commossa tantissimo perché queste esperienze così vere, così vive, toccano il cuore. Quindi dico a queste donne, a queste ragazze, di continuare sempre a perseguire quelli che sono i loro obiettivi, di andare avanti così, di essere sempre forti, tenaci nella vita come fanno nello sport».

 

Un po' come fai tu nella tua ricerca.

«Giusto! Non mollare mai, non arrendersi mai di fronte alle difficoltà: loro sono veramente un esempio, un esempio per tutte noi».


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