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Fabio Di Todaro
pubblicato il 04-03-2021

Covid-19: una sola dose di vaccino per chi ha superato l'infezione



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Dal ministero della Salute l'indicazione a eseguire una dose di vaccino in chi ha avuto la Covid-19 almeno tre mesi dopo l'infezione e non oltre i sei

Covid-19: una sola dose di vaccino per chi ha superato l'infezione

Le persone che hanno già contratto l’infezione da Sars-CoV-2, indipendentemente dalla gravità dei sintomi sviluppati, entreranno a far parte della campagna di profilassi sottoponendosi a una sola dose di vaccino. È questa la novità contenuta nell’ultima circolare del ministero della Salute, finalizzata ad aggiornare il protocollo della vaccinazione contro Covid-19. Il riferimento sono i quasi tre milioni di italiani certi di essere stati infettati dal coronavirus. Indipendentemente dal vaccino che spetterà loro (Pfizer, Moderna, AstraZeneca), queste persone riceveranno un’unica dose, considerata sufficiente a potenziare la produzione di anticorpi indotta già dalla malattia. E, di conseguenza, in grado di porle al riparo dalle conseguenze più gravi in caso di nuovo contatto con il virus nei mesi successivi.

UNA SOLA DOSE TRA 3 E 6 MESI DOPO L'INFEZIONE

Nel documento, firmato dal direttore generale della Prevenzione Gianni Rezza, è specificato che «è possibile considerare la somministrazione di un’unica dose di vaccino anti-Sars-CoV-2 nei soggetti con pregressa infezione, purché la vaccinazione venga eseguita ad almeno tre mesi di distanza e preferibilmente entro i sei mesi dalla stessa». Discorso valido indipendentemente dalla portata dei sintomi con cui si è poi sviluppata la Covid-19. E, sulla carta, applicabile anche nei confronti di chi ha avuto un decorso asintomatico dell'infezione. Purché - naturalmente - accertato. Questo può essere il caso di persone entrate a stretto contatto con dei positivi, sottopostesi al tampone e certe dell'avvenuto contagio. Pur senza, nelle settimane successive all'infezione, aver sviluppato le manifestazioni della malattia.


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INDICAZIONE VALIDA PER CHI SI È CONTAGIATO DURANTE LA SECONDA ONDATA

L'indicazione del Ministero è dunque valida per tutte le persone contagiate nel corso della seconda ondata della pandemia. Non, invece, per coloro che si sono ammalati tra febbraio e maggio dello scorso anno. Al momento, infatti, si sa che l'immunità generata dalla malattia «resiste» (sicuramente) per un periodo limitato di tempo. Di conseguenza, coloro che sono stati contagiati dal virus ormai un anno fa potrebbero non avere più anticorpi a sufficienza per fronteggiare un'eventuale reinfezione. E l'azione dei linfociti T della memoria, deputati al riconoscimento di un agente patogeno (virus o batterio) con cui l'organismo è già entrato in contatto, è molto probabile. Ma ancora in fase di accertamento. Da qui l'indicazione temporale riportata nel documento. 


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RIMANGONO LE DUE DOSI PER LE PERSONE IMMUNODEPRESSE

indipendemente dai tempi del contagio, continueranno invece a essere vaccinate con due dosi le persone che presentano condizioni di immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici. Raccomanda il ministero della Salute: «In questi soggetti, non essendo prevedibile la protezione conferita dall’infezione da Sars CoV-2 e la durata della stessa, si raccomanda di proseguire con la schedula vaccinale proposta». Ovvero: la doppia dose, per tutti e tre i vaccini a oggi disponibili nel nostro Paese. In ogni caso, «le raccomandazioni potrebbero essere oggetto di rivisitazione qualora dovessero emergere e diffondersi varianti di Sars-CoV-2 connotate da un particolare rischio di reinfezione», è quanto specificato nella circolare.

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OBBIETTIVO: AUMENTARE IL NUMERO DI PERSONE VACCINATE

Vaccinare queste persone con due dosi non determina alcun rischio, come peraltro si può già osservare tra il personale sanitario e gli ospiti delle Rsa contagiatisi nei mesi scorsi e che hanno completato la profilassi. Anzi: la protezione più rassicurante negli studi clinici è sempre stata raggiunta dopo aver inoculato due dosi. Ma in un momento in cui c'è carenza dei farmaci, è stata adottata una scelta di buon senso. «La decisione del ministero della Salute è condivisibile e dettata soprattutto da ragioni logistiche - spiega Sergio Abrignani, ordinario di patologia generale all’Università Statale di Milano e direttore dell’Istituto nazionale di genetica molecolare Romeo ed Enrica Invernizzi -. Oggi sappiamo che l'infezione garantisce una protezione per un periodo di 4-6 mesi. Di conseguenza, l'effetto indotto dal contagio è stato equiparato alla risposta immunitaria indotta dalla prima dose. Mentre l'unica a cui queste persone saranno sottoposte fungerà da richiamo». L'obbiettivo, considerato che almeno per altri 40 giorni l'Italia dovrà fare i conti con scorte limitate di farmaci, è mettere le dosi in eccedenza a disposizione di altre persone. E dare così impulso alla campagna vaccinale.


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LA PREGRESSA INFEZIONE SARÀ AUTOCERTIFICATA

Tutte le persone infettatesi nel corso della seconda ondata saranno chiamate secondo l'ordine di priorità fissato nelle linee guida del piano vaccinale nazionale e le declinazioni stabilite dalle singole Regioni. Una volta giunti all'appuntamento - nei centri vaccinali, negli ospedali o dai medici di base - gli italiani risultati positivi all'infezione da Sars-CoV-2 dovranno fare presente questo aspetto al personale sanitario. Il tutto attraverso un'autocertificazione (con la possibilità di esibire i documenti attestanti la positività rilasciati dalle aziende sanitarie locali), che guiderà medici e infermieri nella scelta. Non è prevista - né nei giorni precedenti né al momento della vaccinazione - l'esecuzione di test sierologici per il dosaggio degli anticorpi. L'ipotesi, opportuna sul piano scientifico, è stata esclusa per ragioni organizzative. Sottoporre milioni di italiani a questa ricerca comporterebbe prima la quarantena e poi l'esecuzione del tampone molecolare per tutti, per escludere che l'infezione sia in atto. Troppo, considerando la necessità di far crescere il numero delle persone vaccinate.

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Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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