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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 08-11-2017

Maratona dopo il cancro: le emozioni delle runner dopo New York



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Parlano le donne operate di tumore al seno, protagoniste della gara nella Grande Mela: «Ci siamo riscoperte forti e orgogliose come mai state prima: noi ambasciatrici della lotta contro il tumore»

Maratona dopo il cancro: le emozioni delle runner dopo New York

Più del viaggio compiuto per raggiungere New York, dove lo scorso 5 novembre hanno preso parte alla maratona, con lo scopo di portare avanti l'attività di sensibilizzazione sui tumori femminili (seno, utero e ovaie), vale quello compiuto dentro se stesse.  

«La corsa mi ha aiutato a rialzarmi e a reagire alla malattia, a riprendere coscienza di quel corpo da cui mi sentivo tradita e che invece ho riscoperto amico», racconta Isabella Spertini, 42 anni, mamma di Alice (11) e Leonardo (9), subito dopo essere atterrata all'aeroporto di Linate. Della maratona, conclusa in poco più di cinque ore, dice: «Che fatica negli ultimi otto mesi, ma ho desiderato troppo stringere quella medaglia: ecco perché la sera prima ho giurato a me stessa che sarei arrivata al traguardo, anche per i miei figli che mi hanno sempre dato la forza per reagire. Spero di aver fatto capire loro che davanti alle difficoltà non ci si deve arrendere, che bisogna trasformare anche un'esperienza negativa in qualcosa di positivo». Ma la soddisfazione più grossa è stata quella di «riscoprirsi più forte e più determinata, orgogliosa e fiera di me come mai ero stata prima». 


Donne e tumore: riprendersi il proprio spazio grazie all'attività fisica


 UNA MARATONA PER LA VITA

La possibilità di guardare oltre la malattia è sintetizzata nelle parole delle donne del running team, tra gli ottantamila protagonisti dell'evento che domenica ha spostato le attenzioni mondiali su New York. Tutte sono riuscite a portare a termine i 42 chilometri della gara. Non una maratona qualsiasi, ma «quella per la vita», giura Patrizia Ponzinibbi, 44 anni, che nelle compagne di viaggio ha trovato una nuova famiglia. «Che emozione essere ambasciatrici per raccontare quanto sia importante la ricerca e per ricordare quelle persone amate che per colpa del cancro non ci sono più». Dalla spedizione oltreoceano Judit Zanicotti, mamma di Enrico e Diana (13 e 9 anni), ha avuto la conferma che «da un tumore si può guarire e noi siamo l'esempio concreto di tante altre donne che hanno avuto lo stesso percorso». Carla Piersanti è arrivata nella Grande Mela con la sua famiglia: il marito e due figlie. «Condividere quest'esperienza è stata un'alta emozione bellissima. Ma a toccarmi di più sono stati il tifo e l'incitamento che ci hanno regalato durante tutto il percorso. Ho riflettuto su quanto sia importante avere persone che ti stiano accanto nei momenti belli e meno belli della vita». Lorena Pavarin: «Ho chiuso il mio cerchio legato alla malattia e spero di non doverlo riaprire più».

LA FORZA DEL GRUPPO

Gli otto mesi di condivisione di Pink is Good hanno creato un gruppo di ferro. La capacità di supportarsi nei momenti difficili, la mano testa sempre tesa nei confronti di chi era in affanno, la testa mai rivolta soltanto a se stesse: sono questi gli elementi che hanno permesso a tutte le pink runner di giungere al traguardo. Manuela Prestifilippo e Lysandra Bargiggia sono arrivate al traguardo mano nella mano, dopo quattro ore e mezza. «Un momento che non dimenticheremo mai, sentivamo il cuore esploderci nel petto». Aggiunge la prima, la più giovane del gruppo: 32 anni appena. «Ognuna ci ha messo le proprie emozioni: la paura, l'eccitazione, la forza, la voglia di condividere. Con questo mix abbiamo superato i momenti più difficili e abbiamo completato la gara». Lacrime di gioia pure per Silvia Bezzi, negli ultimi cinque chilometri: «Arrivare al traguardo è stata una vittoria, ma in realtà quella più importante l'avevo già raggiunta superando la malattia. Tra le lacrime non vedevo più niente, la gente mi sosteneva ancora di più e io rispondevo: don’t worry, I’m very happy». Un altro terzetto era composto da Isabella Spertini, Patrizia Ponzinibbi e Chiara Bianconi: giunte al traguardo dopo quattro ore e mezza. «Gli attimi più belli sono quelli che abbiamo passato insieme domenica mattina, aspettando la partenza - racconta quest'ultima -. Poi è partito l’inno americano, subito dopo gli spari e il via: era giunto il nostro momento». Quello raggiunto dopo otto mesi di allenamenti e sudore, fatica muta e sudore acido. Sono stanche, adesso, le «nostre Pink». Ma il tumore, dopo questo traguardo, è un po' più lontano ricordo. Guai a fermarsi adesso.

 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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