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Pediatria
Fabio Di Todaro
pubblicato il 01-04-2019

La povertà è la vera minaccia per la salute



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Un basso status socioeconomico è considerato un fattore di rischio per la salute - al pari del fumo, dell'obesità e dell'ipertensione - in grado di accorciare la vita fino a due anni

La povertà è la vera minaccia per la salute

Ci sono delle variabili - il fumo di sigaretta, l'eccessivo consumo di bevande alcoliche, la sedentarietà e il sovrappeso - che possono minare la salute di una persona con la sua piena consapevolezza. E altre, invece, di fronte ai quali il singolo nulla può. Una di queste, per esempio, è l'inquinamento. Ma c'è un altro indicatore che rappresenta un fattore di rischio inesorabile: è il nostro status socioeconomico, che se troppo basso può farci ammalare e finanche morire prima del previsto. Gli effetti sulla salute sono visibili in tutte le fasi della vita, anche se è soprattutto nei primi anni che si determina la salute di un individuo. Motivo per cui nascere in un contesto di povertà, oltre a impedirci di vivere molte delle esperienze più anelate, rischia in realtà di renderci la vita più breve del previsto.


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IL «PESO» DELLA POVERTA' SULLA SALUTE

In una fase di scarsa crescita economica come quella che da anni vive l'Europa, il tema delle disuguaglianze sanitarie è diventato una delle priorità degli esperti di sanità pubblica. L'Italia, per il momento, è ancora il Paese più longevo d'Europa. Ma per provare a leggere le dinamiche dei prossimi decenni, vale la pena di conoscere le conclusioni di «Lifepath», un progetto di ricerca che ha coinvolto dieci Paesi europei teso a comprendere l'impatto delle differenze sociali ed economiche sull'invecchiamento. Sotto il coordinamento di Paolo Vineis, a capo del dipartimento di epidemiologia ambientale dell'Imperial College di Londra, i ricercatori hanno fatto ricorso a indagini di popolazione e biologiche per giungere alla conclusione che «lo status socioeconomico è un fattore di rischio indipendente per la salute e per la mortalità». Il suo impatto in termini di anni di vita persi (2.1) è oggi considerabile di poco inferiore a quello determinato dalla sedentarietà (2.4) e di gran lunga maggiore rispetto allo stesso generato dall'ipertensione (1.6), dall'obesità (0.7) e dall'elevato consumo di bevande alcoliche

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LA POVERTA' SI «MISURA» NEL NOSTRO ORGANISMO

A queste conclusioni, i ricercatori sono giunti dopo aver misurato anche a livello biologico il «peso» determinato dalle ridotte possibilità economiche. L'analisi di alcuni marcatori ha infatti permesso di evidenziare un aumento - in maniera inversamente proporzionale alla ricchezza - e una cronicizzazione dell'infiammazione a livello di tutti i tessuti. Una condizione che, com'è ormai noto da diversi anni, rappresenta il terreno fertile per il prosperare di malattie neurodegenerative, cardiovascolari e oncologiche. A ciò occorre aggiungere l'effetto «antagonista» nei confronti del sistema immunitario: più infiammazione vuol dire maggiore stress, dunque un organismo perde progressivamente la capacità di difendersi dagli agenti esterni. Di fatto, per dirla con le parole di Vineis, «è come se la povertà si facesse strada sotto la nostra pelle». Difficile smentirlo, se l'aumento dei marcatori dell'infiammazione, documentato in un lavoro pubblicato nelle scorse settimane sulla rivista Nature Communications, di pari passo con l'incremento del peso corporeo, s'è visto essere spesso legato a doppio filo con un basso livello d'istruzione: maggiormente rilevabile nelle fasce di popolazione meno agiate. 


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LA SALUTE SI DETERMINA FIN DALL'INFANZIA

Ciò che preoccupa maggiormente è che le circostanze socioeconomiche fanno la differenza fin dai primi anni di vita. Motivo per cui se un bambino nasce in un contesto disagiato, oltre a non avere la possibilità di affrancarsi, è quasi certamente condannato a un'esistenza stentata e a una vita probabilmente più breve rispetto a quella di un suo coetaneo appartenente a una famiglia più agiata. Questo anche perché, nel corso dell'infanzia, in una famiglia con poche possibilità è più difficile che si faccia educazione alla salute. È in questi anni che si contribuirà, di conseguenza, a far crescere un individuo poco avvezzo a prendersi cura di sé e a cogliere gli eventuali segnali anomali provenienti dal proprio corpo. A fare quello che, di fatto, fa la differenza nella gestione delle malattie croniche: la prevenzione e la diagnosi precoce


SERVONO INVESTIMENTI SULLA PREVENZIONE

Da qui l'appello alle istituzioni, in cui di fatto è racchiusa la trasposizione nella pratica clinica delle evidenze raccolte in oltre tre anni di ricerche. «Occorre investire maggiormente nella prevenzione - ha spiegato Vineis nel corso del meeting conclusivo del progetto, svoltosi a Ginevra -. Gli interventi devono essere messi in atto fin dall'infanzia, perché oggi sappiamo che un invecchiamento in salute deve essere promosso durante tutto il corso della vita». Chi arriva all'età adulta in una soglia di povertà, difficilmente potrà vedere mutare in maniera radicale la propria esistenza. A ciò occorrerrà aggiungere la maggiore probabilità che la persona adotti comportamenti rischiosi: fumando, bevendo molti alcolici, non praticando attività fisica. Ma in realtà gli stili di vita, così come altri fattori di rischio, risentono di determinanti sociali di salute come la posizione nella società e sul lavoro, il reddito e il livello educativo. Più si è in basso nella scala sociale, più la vita rischia di accorciarsi e di essere caratterizzata da un maggiore numero di anni trascorso a combattere una o più malattie. Guardare negli occhi la povertà è il primo passo da compiere per ridurre le disuguaglianze meno tollerabili: quelle al cospetto della salute.
 

Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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