Fino a due anni fa ero ipocondriaca. Ma non di quelle che fanno mille controlli, io il evitavo. Passare davanti a un ospedale mi provocava ansia. Evitavo gli screening per paura di scoprire qualcosa di brutto. Poi, una mattina di due anni fa, ho sentito un nodulo al seno e, inevitabilmente, ho dovuto iniziare a frequentare gli ospedali, ma sempre a modo mio.
Dopo la diagnosi di carcinoma mammario, infatti, non ho voluto sapere nulla di più. Né il tipo, né lo stadio, né dettagli di alcun tipo. Mi sono rifiutata. Non volevo cercare su internet, non volevo leggere pareri o statistiche. Era una forma di difesa: temevo che ogni informazione potesse solo aumentare la paura. Ho scoperto il nome preciso del mio tumore soltanto dopo l’intervento, leggendo la cartella clinica. Si trattava di un carcinoma al seno infiltrante Her2+, piuttosto esteso.
IL PERCORSO DI CURA
Ho deciso fin da subito di affidarmi completamente alla mia oncologa, all’Istituto Nazionale dei Tumori Pascale di Napoli. Con lei ho instaurato un rapporto bellissimo, fatto di fiducia e ascolto. Mi bastava sapere che lei c’era. Non avevo bisogno di conoscere tutto, avevo bisogno di fidarmi. Mi sentivo al sicuro solo seguendo alla lettera ciò che mi diceva.
Dopo la diagnosi, ho iniziato subito il percorso di cura. A seguito della scintigrafia ossea, per accertare l’assenza di metastasi, ho iniziato la chemioterapia a novembre 2023 e l’ho terminata all’inizio di aprile dell’anno seguente. Alla fine dello stesso mese ho affrontato l’intervento di mastectomia, durante il quale sono stati rimossi 14 linfonodi ascellari e inserito un espansore. Successivamente ho completato il percorso con la radioterapia e l'immunoperapia, che prevedeva un'iniezione sottocute ogni 21 giorni. Ora sto aspettando la sostituzione dell’espansore con la protesi definitiva.
UNA FORZA INASPETTATA
Durante quei mesi ho tirato fuori una forza inaspettata. Non mi sono mai sentita una guerriera, piuttosto ho fatto quello che secondo me era inevitabile: essere forte per garantire tranquillità, per quanto possibile, ai miei due figli adolescenti, Giuseppe e Giulia. La mia priorità era proprio non sconvolgere la loro quotidianità. Anche quando le terapie mi toglievano le forze, cercavo di alzarmi, cucinare, tenere viva la routine. Mi dicevo che solo così non sarei crollata. I miei figli e mio marito Tommaso, insieme agli affetti più cari, sono stati il mio motore.
LA PERDITA DEI CAPELLI
Uno dei traumi più grandi è stato per me la perdita dei capelli, dopo la seconda chemioterapia, ma mi ero preparata. Prima che accadesse, mi ero procurata una parrucca di capelli naturali, molto simile al mio taglio. Non volevo che mio marito o i miei figli mi vedessero senza, non volevo che l’immagine della malattia si imprimesse su di loro. E soprattutto, non volevo che lo specchio restituisse nemmeno a me un’immagine così diversa. Quella parrucca era una protezione, un modo per conservare un po’ di normalità. Ovviamente qualcosa cambia comunque. Cambia lo sguardo, il colorito, la pelle. Per quanto tu possa sforzarti di mantenere la stessa immagine, è difficile, ma per me è stata un grande aiuto. Poi, quando a luglio il caldo era diventato insopportabile e le terapie erano finite, ho deciso di toglierla. L’ho fatto al mare, davanti ai miei figli che mi hanno fatta sentire bella anche con i miei capelli cortissimi che da poco avevano iniziato a ricrescere. Da quel giorno non l’ho più indossata.
UNA PAURA UNIVERSALE
Nella sfortuna della malattia io mi sono sempre sentita fortunata, ho incontrato subito le persone giuste e sono stata seguita con attenzione, accompagnata passo dopo passo. In ospedale ho conosciuto tante persone, ognuna con la sua storia, ma tutte con la stessa paura. La paura di non farcela. È un sentimento universale, che annulla le differenze di età, di carattere, di vissuto.
Il percorso di chemioterapia è stato estenuante. Arrivavo alle 7 del mattino e tra un controllo e l’altro iniziavo la terapia otto ore dopo. Ore di attesa, ansia, visite, esami. La stanchezza si sommava agli effetti della terapia come nausea e debolezza, ma mi rendevo conto che c’erano persone in condizioni molto peggiori.
Nonostante il mio tentativo di isolarmi, con libri e musica nelle orecchie, proprio per evitare di mescolare le mie paure con quelle di altri pazienti, è stato inevitabile instaurare un rapporto con chi attendeva insieme a me. Ci confrontavamo, ci raccontavamo paure ed esperienze. Io però ho scelto di affrontare la malattia mantenendo una certa distanza. Le ho impedito di prendersi tutto il mio spazio. Quella distanza mi ha aiutata a non crollare, a restare stabile, a non perdere la mia identità, la mia routine, le mie abitudini.
EMOZIONI DA RIELABORARE
Fisicamente oggi ho recuperato le energie, ma a livello psicologico sto ancora metabolizzando. Ora ricordo tutto perfettamente del mio percorso. Solo il tempo mi ha restituito ricordi ed emozioni. Durante la malattia, infatti, sei concentrata sulla guarigione: devi esserci, resistere, non puoi delegare a nessuno. Solo dopo, quando la tempesta passa, riaffiorano ricordi ed emozioni con cui fare i conti. Sto iniziando a mettermi in ascolto di tutto questo e sto valutando un percorso di psicoterapia.
UNA NUOVA CONSAPEVOLEZZA
Oggi mi sento diversa. Per alcuni versi anche migliore. Il rapporto con la prevenzione è cambiato completamente. Prima la evitavo, ora è la mia sicurezza. Faccio controlli di follow up ogni sei mesi e la mammografia ogni anno. La malattia mi ha insegnato che sapere non fa male. Oggi, grazie alla ricerca, ci sono sempre più possibilità di guarigione e più ci si controlla, più è probabile intercettare un tumore quando ancora è piccolo e curabile.
Prima rimandavo molte cose, ora non rimando più nulla. Se posso fare qualcosa, la faccio subito. La vita può cambiare in un attimo, e io voglio viverla al meglio, nel presente.
Forse un po’ di ipocondria è rimasta, ma ha cambiato forma: non è più paura, è attenzione e cura. L’ansia non decide più al mio posto. Decido io, con consapevolezza.


