Una ricerca scozzese: tassi di gravidanza ridotti del 38 per cento. Preservare la fertilità dopo il tumore è possibile, ma serve più informazione
Oggi una gravidanza dopo aver superato un tumore e le cure oncologiche è più facile, rispetto al passato. Ma per arrivare a un pieno successo, di strada da percorrere ne rimane abbastanza. Ancora troppe donne, ammalatesi di cancro in età fertile, sono infatti costrette ad accantonare per sempre il sogno di avere un figlio. I primi dati di questo tipo giungono dalla Scozia, ma in realtà lo scenario non è così diverso in Italia. Eppure il ventaglio di opportunità è in continua evoluzione.
GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO SONO POSSIBILI DOPO UN TUMORE AL SENO?
PROBABILITA' RIDOTTA DI UN TERZO
La notizia è stata fornita nel corso dell’ultimo congresso della Società europea di embriologia e riproduzione umana, appena conclusosi a Ginevra. Nel corso dell’appuntamento annuale, sono stati diffusi i risultati di uno studio condotto su oltre ventitremila donne scozzesi, sopravvissute a una diagnosi oncologica. I dati raccolti dai ricercatori del centro della salute riproduttiva dell’Università di Edimburgo hanno tenuto conto delle diagnosi effettuate tra il 1981 e il 2012 tra le donne con meno di 39 anni senza escludere alcuna neoplasia. Sono state 6.627 le gravidanze portate a termine: il 38 per cento in meno rispetto a quelle attese (poco più di undicimila) tra le coetanee appartenenti alla popolazione generale. La riduzione della probabilità di rimanere incinte è risultata comune a prescindere dall’età della donna. Mentre probabilità significativamente ridotte sono state riscontrate in tre categorie di pazienti: quelle ammalatesi di tumore della cervice uterina, di tumore al seno e di leucemia.
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MA DAGLI ANNI ’80 A OGGI LA SITUAZIONE E' MIGLIORATA
I dati, hanno chiarito subito gli esperti, non provano in maniera diretta la correlazione tra le cure oncologiche e l’infertilità. La loro analisi permette infatti di constatare soltanto il ridotto numero di gravidanze osservate tra le donne che avevano ricevuto una diagnosi di tumore in età riproduttiva, su cui potrebbe però avere inciso anche la scelta delle donne di non avere figli. L’associazione rimane comunque altamente probabile, visto che i tassi di infertilità si sono ridotti rispetto agli anni ’80. L’evidenza, secondo i ricercatori scozzesi, conferma «i progressi compiuti nel campo delle cure oncologiche, che oggi arrecano minori conseguenze sulla fertilità».
LA CRIOCONSERVAZIONE DEI GAMETI
La soluzione più affidabile risiede nella crioconservazione dei gameti: spermatozoi (per gli uomini) e ovociti (per le donne). Lo scopo è preservare una certa quantità di gameti sani, prima dell’inizio delle cure oncologiche che in molti casi possono danneggiare anche in modo irreversibile la fertilità. Come funziona? Il procedimento risulta più agevole per i pazienti di sesso maschile, «oltre che accompagnato finora da tassi di successo più elevati», precisa Nicola Nicolai, responsabile della struttura semplice di chirurgia del testicolo all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano. «La possibilità di congelare il seme deve essere raccomandata a tutti i pazienti oncologici più giovani prima dell’inizio della chemioterapia, a prescindere dal distretto colpito dalla malattia, o di qualsiasi intervento di chirurgia oncologica addominale maggiore».
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CONGELARE GLI OVOCITI
Più lungo è invece l’iter da seguire con le donne. Il danno, in questo caso, può giungere dall’asportazione di un tumore all’utero o alle ovaie, così come dalla chemio o dalla radioterapia per colpire una neoplasia localizzata in un’altra parte del corpo, anche se oggi si tende a utilizzare farmaci meno aggressivi per l’apparato genitale, a dosaggi inferiori. «L’ovulazione, a differenza della raccolta dello sperma, deve quasi sempre essere indotta con una stimolazione farmacologica», chiarisce Giorgia Mangili, responsabile dell’unità di ginecologia oncologica all’ospedale San Raffaele di Milano. «Occorre aspettare 10-12 giorni tra la diagnosi e l’inizio delle terapie, per poter prima prelevare gli ovociti da congelare: è il cosiddetto periodo finestra. La fertilità della donna può essere sempre preservata se la diagnosi di tumore arriva prima dei 35 anni, mentre nell’intervallo fino ai quaranta la valutazione avviene sul singolo caso. In questa fase della vita la riserva ovarica cala a quasi il dieci per cento del totale e la qualità degli ovuli peggiora». Un’alternativa è data dall’impiego dei farmaci analoghi dell'ormone di rilascio ipotalamico delle gonadotropine (Lhrh), mentre è ancora in fase sperimentale il congelamento di tessuto testicolare e ovarico: l’unica opportunità però per preservare la fertilità nei bambini che s’ammalano di tumore prima della pubertà.
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I CENTRI DI RIFERIMENTO
In Italia sono 14 i centri con un’unità dedicata alla preservazione della fertilità nei pazienti oncologici. Si trovano in dieci regioni: undici sono pubblici, due privati convenzionati e uno privato (Sicilia). Sono però ancora troppo pochi, se il presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) Carmine Pinto, direttore della struttura complessa di oncologia medica dell'Irccs Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, auspica che «in ogni regione siano presenti centri di riferimento per l’oncofertilità. In questo modo sarà più semplice la scelta della struttura: sia per gli oncologi che devono mettersi rapidamente in contatto con i medici della riproduzione sia per i pazienti che possono disporre di maggiori strumenti decisionali in un momento della loro vita in cui devono operare scelte fondamentali per il loro futuro».
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CRIOCONSERVAZIONE: I TEMPI E I COSTI
Il materiale biologico può rimanere crioconservato a temperature bassissime per anni ed essere utilizzato quando il paziente ha superato la malattia. I costi della conservazione oggi sono in larga parte a carico del paziente oncologico, anche se piuttosto calmierati (all’incirca 300 euro all’anno). Ma cinque regioni hanno già deciso di farli ricadere sotto l’ombrello dell’esenzione 048 riservata ai malati oncologici: è il caso della Lombardia, del Veneto, della Toscana, del Lazio e della Sicilia.
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I TUMORI PIU' FREQUENTI NEGLI UNDER 40
Ogni giorno in Italia vengono diagnosticati trenta casi di tumore in pazienti under 40: pari al tre per cento delle nuove diagnosi. Ciò equivale a dire che ogni anno lungo la Penisola circa undicimila persone di età compresa tra i 15 e i 39 anni si ammalano di cancro. Su un totale di 21 milioni di connazionali tra i 15 e i 39 anni, si stima la presenza di circa centomila adolescenti e giovani adulti ammalati. In questa fascia d’età le diagnosi riguardano più le donne degli uomini. Ma quali sono le neoplasie più frequenti in questa fascia d’età? Negli uomini il tumore al testicolo, seguito dal linfoma non Hodgkin, dalle leucemie, dal linfoma di Hodgkin, dai tumori cerebrali e del colon-retto e dal melanoma. Le giovani donne possono essere invece colpite da tumori al seno, al collo dell’utero, alla tiroide, da linfomi, tumori del colon-retto e melanomi.
Fonti
Società Europea di Embriologia e Riproduzione Umana
Raccomandazioni Aiom-Sie-Sigo sull'oncofertilità, Società Italiana di Endocrinologia
Effect of the Gonadotropin-Releasing Hormone Analogue Triptorelin on the Occurrence of Chemotherapy-Induced Early Menopause in Premenopausal Women With Breast Cancer, Journal of the American Medical Association (Jama)
Fabio Di Todaro
Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).