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Ginecologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 19-06-2020

Fegato grasso in gravidanza: più rischi per mamme e bambini



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Negli Stati Uniti è triplicato (in 20 anni) il numero di donne che affronta una gravidanza con la steatosi epatica. Con quali ripercussioni per chi viene al mondo?

Fegato grasso in gravidanza: più rischi per mamme e bambini

Più del grasso «fuori», preoccupa quello «dentro». Da anni si parla dell'obesità viscerale come un fattore di rischio specifico per diverse condizioni, compresi alcuni tumori. All'interno dell'addome, uno dei distretti in cui il grasso si accumula è il fegato. Da qui la condizione nota come steatosi epatica non alcolica (NAFLD), che ormai riguarda quasi 1 adulto su 4. Siamo di fronte a un problema della terza età? Tutt'altro. La sua diffusione anche tra i giovani adulti sta portando a galla un problema non da poco, almeno nei Paesi occidentali: l'aumento delle donne che affrontano una gravidanza con un fegato «ingrossato». A sancirlo è uno studio pubblicato sul Journal of Hepatology, secondo cui il numero di donne statunitensi che hanno partorito con la steatosi epatica è triplicato dall'inizio del secolo a oggi. Un'emergenza non da poco, considerando che l'accumulo di grasso nel fegato è un fattore di rischio tanto per la salute della donna quanto per quella del nascituro

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IL FEGATO PROTAGONISTA DELLA GRAVIDANZA

Perché le condizioni del fegato sono così importanti per il buon esito di una gravidanza? Innanzitutto occorre ricordare che si sta parlando della più grande ghiandola del nostro corpo, la «centrale» del nostro metabolismo. Oltre a essere collegato all'apparato digerente, il fegato ha un ruolo anche nella difesa dell'organismo e nell'eliminazione delle sostanze tossiche. Nel corso della gestazione, poi, è direttamente interessato dagli sbalzi ormonali e dai cambiamenti della circolazione sanguigna che caratterizzano i nove mesi di attesa. In questa fase, nonostante un aumento del volume di sangue pompato dal cuore, la quantità  che giunge al fegato è (in percentuale) ridotta. Questa variazione determina un rallentamento dell'attività epatica, più marcato nel momento in cui le condizioni della ghiandola non sono ottimali. Alla luce del suo ruolo nevralgico, durante i nove mesi il fegato è più esposto al rischio di essere interessato da una serie di condizioni tipiche del periodo di attesa: dalla sindrome di Hellp alla colestasi gravidica, dal fegato grasso acuto della gravidanza all'epatite virale acuta. Tra queste, c'è anche la steatosi epatica.

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STEATOSI EPATICA: DI COSA SI TRATTA? 

La steatosi epatica non alcolica - nel linguaggio comune si parla di fegato grasso - è la conseguenza di un progressivo accumulo di trigliceridi all'interno delle cellule che compongono il fegato (epatociti) e viene considerata un passaggio quasi «scontato» per chi soffre di sindrome metabolica. Secondo i dati più recenti, nei Paesi industrializzati a soffrirne sarebbe un quarto della popolazione (25 per cento). Preoccupa anche il progressivo abbassamento dell'età media di insorgenza, legato alla crescita dei tassi di sovrappeso e obesità a partire dall'infanzia e dall'adolescenza. Nella popolazione generale, la steatosi epatica, oltre a rappresentare la principale causa di danno epatico, è associata al diabeteipertensione. Nei casi più gravi, quando il fegato è grasso, si può registrare anche l'infiammazione cronica del fegato che può, arrivare a compromettere la funzionalità dell'organo. Questa condizione, nota come steatoepatite non alcolica (Nash), può aprire la strada all'insorgere di malattie più gravi, quali la cirrosi e il tumore del fegato. Ecco perché evitare l'accumulo di grasso è fondamentale, in tutte le fasi della vita.


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SE IL FEGATO E' GRASSO IN GRAVIDANZA

L'aspetto della prevenzione è considerato cruciale nel corso della gravidanza, a maggior ragione oggi che un numero crescente di donne si presenta all'appuntamento con la steatosi epatica o con una serie di fattori di rischio che potrebbero determinarne l'insorgenza durante i nove mesi. A documentare il trend in ascesa è stato un gruppo di otto clinici dell'Università della California (San Francisco), che ha analizzato i dati disponibili nel Nationwide Inpatient Sample (un database contenente informazioni relative a oltre sette milioni di ricoveri). Studiando le schede di dimissione ospedaliera, gli autori hanno notato che le gravidanze affrontate con la NAFLD sono quasi triplicate in meno di dieci anni: da 10.5 a 28.9 ogni 100mila (2007-2015). La tendenza non è rimasta priva di conseguenze. Valutando l'esito di queste gestazioni, è stato infatti riscontrato un aumento di alcuni eventi avversi nella fase perinatale. A risultare più frequenti, tra le donne alle prese con la steatosi epatica non alcolica, sono state condizioni quali la preeclampsia, la sindrome di Hellp (considerata come una delle più gravi complicanze della preeclampsia), il parto pretermine e l'emorragia post-partum. Il tutto indipendentemente dalla presenza (o meno) di altri squilibri metabolici.

LE CONSEGUENZE PER CHI VIENE AL MONDO

Lo scenario preoccupa gli esperti, in ragione della difficoltà a far calare i tassi di sovrappeso e obesità tra le donne in età fertile e della tendenza ad avere il primo figlio sempre più in là negli anni. Le due condizioni, abbinate a un generale peggioramento degli stili di vita, sono concause di quello che Filomena Morisco, ordinario di gastroenterologia all'Università Federico II di Napoli, definisce «un serio problema per la salute pubblica», anche nel nostro Paese. Dati analoghi a quelli che giungono da Oltreoceano non sono (ancora) disponibili. Ma considerando che negli Stati occidentali 1 donna su 3 vive la gravidanza in sovrappeso, «la situazione rischia di non essere molto diversa da quella degli Stati Uniti». A preoccupare, al di là delle conseguenze nel periodo perinatale, sono le possibili ripercussioni nel corso della vita dei bambini. «Alcuni studi ipotizzano un aumento del rischio di sviluppare steatosi epatica per chi è figlio di una donna che aveva lo stesso problema in gravidanza», aggiunge l'esperta, che dirige la scuola di specializzazione in malattie dell’apparato digerente. Questione di genetica? Non lo si può escludere, ma gli esperti sono portati a pensare che il ruolo più importante lo giochi l'epigenetica. Alcuni fattori esterni al Dna possono  infatti modificare l'espressione dei geni, senza alterare la struttura del codice genetico. Oggi sappiamo che le caratteristiche riscontrate dal feto all'interno dell'utero tracciano la rotta del «percorso» che affronterà il nascituro. E forse non solo. Secondo diversi studi, infatti, gli effetti dei tratti metabolici rilevati durante lo sviluppo precoce potrebbero non essere limitati soltnto alla generazione esposta, ma anche in quelle (almeno una) successive.


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MEGLIO PARLARNE PRIMA

Alla luce dello scenario che rischia di prendere forma, diventa dunque centrale la figura del ginecologo: sia in chiave preventiva (soprattutto nelle donne in sovrappeso o obese) sia nella gestione di una steatosi epatica già presente. Se riconosciuta in tempo, la condizione può essere gestita correggendo la dieta e incrementando l'attività fisica (non esistono farmaci in grado di far «dimagrire» il fegato). «La funzione epatica deve essere sempre tenuta sotto controllo durante i nove mesi», rimarca Morisco. Oltre a ricevere una consulenza nutrizionale (clicca sul link che segue per scaricare il quaderno Speciale gravidanza e allattamento), «le donne con una steatosi epatica non alcolica devono sottoporsi allo screening per il diabete gestazionale ed essere tenute sotto controllo per evitare l'insorgenza dell'ipertensione». La salute del fegato va tenuta particolarmente d'occhio nelle donne incinte con la sindrome dell'ovaio policistico (fattore di rischio per la steatosi epatica). Il monitoraggio, stando alle indicazioni riportate nel 2016 dall'Associazione Italiana Studi sul Fegato (Aisf), deve proseguire anche dopo il parto (da parte di un epatologo).


Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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