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Oncologia
Fabio Di Todaro
pubblicato il 10-12-2018

La progressione del glioblastoma rallenta se si «affama» il tumore



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L'utilizzo di un farmaco in grado di inibire l'angiogenesi in grado di dimezzare (in un anno) i tassi di mortalità dei pazienti colpiti da una recidiva del glioblastoma

La progressione del glioblastoma rallenta se si «affama» il tumore

Non è la soluzione definitiva al problema. Ma un sensibile passo in avanti, sì. Nuove speranze per i pazienti colpiti da una recidiva di glioblastoma, il più aggressivo tumore cerebrale che può colpire gli adulti. Il regorafenib, un farmaco antiangiogenetico già utilizzato nel trattamento di altre neoplasie metastatiche, come quelle del colon-retto e del fegato, è in grado di aumentare la sopravvivenza rispetto al trattamento standard finora utilizzato: la lomustina, somministrata però quasi sempre a scopo palliativo. Ovvero: quando si riconosce l'impossibilità di curare la malattia). Il dato è emerso da una ricerca portata avanti in dieci ospedali italiani e pubblicata sulla rivista The Lancet Oncology, che ha evidenziato come il farmaco in osservazione (somministrato in pazienti già operati e trattati almeno una volta con radio e chemioterapia) possa anche dimezzare i tassi di mortalità a un anno per i pazienti colpiti dal più diffuso e aggressivo tumore cerebrale in età adulta.


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MALATTIA «STABILIZZATA»

La ricerca per provare a far fronte al glioblastoma si sta muovendo in diverse direzioni: dall'immunoterapia alla terapia genica. Ipotesi suggestive, ma che finora non hanno ancora ottenuto i risultati sperati nella cura del glioblastoma. Nel frattempo occorre prendersi cura di chi è già alle prese con questo tumore, che tende a «rimettersi in moto» nella maggior parte dei casi. Da qui l'idea di testare il regorafenib sui pazienti affetti dal glioblastoma in uno studio randomizzato: dei 119 arruolati, 59 sono stati trattati col farmaco sperimentale e 60 con la lomustina. «I risultati ci permettono di dire che regorafenib (assunto quotidianamente per via orale, per tre settimane, ndr) stabilizza la malattia e, in alcuni casi, permette anche di farla regredire - afferma Giuseppe Lombardi, neuroncologo dell'Istituto Oncologico Veneto (Iov) di Padova e prima firma della pubblicazione -. La tollerabilità è risultata accettabile e simile a quella avuta nel trattamento di altri tumori. Un paziente su dieci ha sviluppato una tossicità a livello epatico (aumento dei livelli delle transaminasi e della bilirubina, ndr) o la sindrome mano-piede. Effetti collaterali comunque gestibili, se necessario ricorrendo anche a una riduzione del dosaggio del farmaco o a una breve sospensione». 


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SOTTRARRE NUTRIENTI AL CANCRO

Il glioblastoma è un tumore molto vascolarizzato: presenta cioè un elevato numero di vasi sanguigni che lo alimentano. Da qui l'idea su cui i ricercatori lavorano da molti anni: quella di privarlo dei nutrienti necessari alla crescita, inibendo la crescita di nuovi vasi che normalmente si registra nel tessuto oncologico. Con questo scopo, a livello sperimentale, è stato già sperimentato il bevacizumab (somministrato da solo o in associazione ad altri farmaci chemioterapici), senza tuttavia mai dimostrare un aumento della sopravvivenza. Questo anche perché, nel tempo, molti pazienti sviluppano una resistenza al farmaco, che ostacola la formazione di nuovi vasi sanguigni legandosi (esclusivamente) al fattore di crescita dell'endotelio vascolare (Vegf). Il glioblastoma, tramite altre vie, può dunque trovare la strada per tornare a crescere. Da qui la necessità di individuare una molecola che inibisca anche le strade alternative che il tumore percorre per nutrirsi. Il vantaggio del regorafenib è quello di ostacolare diversi meccanismi della crescita tumorale: dall’angiogenesi all’inibizione di stimoli alla crescita derivanti dal microambiente cellulare. Di recente, inoltre, si è dimostrata anche una azione immunoterapica del regorafenib stesso.

UN'INDAGINE MOLECOLARE PER INDIVIDUARE I PAZIENTI PIU' ADATTI

Il prossimo passo sarà quello di verificare i risultati in un campione più ampio di pazienti, nel corso di uno studio di fase 3. «Sulla base di questi risultati, il regorafenib si candida a essere un'opportunità e un nuovo potenziale trattamento per tutti i pazienti in cui si registra una recidiva di glioblastoma - conclude Lombardi -. Adesso vogliamo capire anche se esistano dei biomarcatori in grado di identificare i pazienti in grado di ottenere la risposta migliore a questa terapia». 


Fabio Di Todaro
Fabio Di Todaro

Giornalista professionista, lavora come redattore per la Fondazione Umberto Veronesi dal 2013. Laureato all’Università Statale di Milano in scienze biologiche, con indirizzo biologia della nutrizione, è in possesso di un master in giornalismo a stampa, radiotelevisivo e multimediale (Università Cattolica). Messe alle spalle alcune esperienze radiotelevisive, attualmente collabora anche con diverse testate nazionali ed è membro dell'Unione Giornalisti Italiani Scientifici (Ugis).


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