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Francesca Borsetti
pubblicato il 12-04-2022

Un cerotto hi-tech contro il tumore al seno triplo negativo



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Un nuovo sistema a base di microaghi per veicolare i farmaci nel tessuto malato: la ricerca di Concetta Di Natale sul tumore al seno triplo negativo

Un cerotto hi-tech contro il tumore al seno triplo negativo

Il tumore al seno triplo negativo rappresenta circa il 15 per cento di tutte le neoplasie mammarie. Nonostante i contributi della ricerca scientifica, questa forma tumorale è ancora legata a una prognosi negativa a causa della mancanza di terapie mirate. Negli ultimi anni la sopravvivenza delle donne colpite da tumore triplo negativo è aumentata grazie alla diagnosi precoce, tuttavia sono necessari ancora molti sforzi per migliorare la prognosi e limitare l’insorgenza di metastasi. Una nuova opzione terapeutica è rappresentata dall’immunoterapia, tecnica che mira ad attivare il sistema immunitario contro il tumore: il principale limite di questa strategia, oggi, riguarda la capacità dei farmaci di raggiungere efficacemente i tessuti malati.

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Concetta di Natale è ricercatrice presso il Centro Interdipartimentale di Ricerca sui Biomateriali (CRIB) dell’Università degli Studi Federico II di Napoli. Studia lo sviluppo di un nuovo sistema terapeutico a base di microaghi per l'incapsulamento e la somministrazione di farmaci contro il tumore al seno triplo negativo. Questa nuova strategia potrebbe migliorare l’efficacia e la selettività della terapia, limitarne gli effetti avversi e migliorare la qualità della vita delle pazienti. Il suo progetto sarà sostenuto per il 2022 da una borsa di ricerca di Fondazione Umberto Veronesi.

Concetta, come nasce l'idea del vostro lavoro?

«Nasce dalla consapevolezza che il carcinoma mammario triplo negativo è attualmente il tumore al seno con meno opzioni terapeutiche. L’immunoterapia abbinata a nuovi sistemi di “drug delivery” (veicolazione del farmaco, N.d.R.) potrebbe rappresentare una svolta in questo campo. In particolare, le strategie a base di microaghi polimerici hanno mostrato risultati promettenti: sono trattamenti che permettono un rilascio locale e controllato degli agenti terapeutici nella regione tumorale. L’uso di microaghi favorisce la distribuzione e aumenta la quantità di farmaco capace di raggiungere le regioni più profonde dei tumori, riducendone la dispersione terapeutica e gli effetti collaterali. Recentemente nel nostro laboratorio è stato sviluppato un nuovo metodo per la fabbricazione di microaghi polimerici “multicompartimentali”. Questi sistemi possono essere usati per somministrare contemporaneamente diversi tipi di farmaci, come gli immunoterapici e i chemioterapici classici. I risultati preliminari sono incoraggianti e la nostra idea è di sperimentare la loro efficacia nelle fasi precoci della malattia».

Perché avete scelto di orientarvi su questa linea di ricerca?

«Leggo continuamente storie di donne che soffrono o hanno sofferto di TNBC e non ho avuto mai avuto dubbi sulla linea di ricerca in cui specializzarmi. L’uso di questi dispositivi a microaghi potrebbe rendere più serene le donne affette da questa patologia: i benefici sarebbero anche psicologici, evitando il trattamento chirurgico invasivo».

Quali sono gli aspetti poco noti da approfondire?

«Bisogna approfondire lo studio molecolare del TNBC e caratterizzarne al meglio il suo profilo genetico. In questo modo si potrebbe intervenire precocemente con terapie mirate e personalizzate».

Come intendete portare avanti il vostro progetto durante quest’anno?

«Il nostro progetto sarà articolato in diverse fasi: dalla produzione di particelle polimeriche per veicolare i farmaci, all’ottimizzazione e alla realizzazione finale del cerotto completo. Gli effetti terapeutici di quest’ultimo saranno poi testati in vivo su modelli murini, in collaborazione con lo Spanish National Cancer Research Centre (CNIO) di Madrid. I topi portatori di tumore saranno trattati con diverse formulazioni di microaghi per valutare la miglior strategia terapeutica».

Quali prospettive il vostro lavoro apre per la salute umana?

«Il nostro cerotto - così come è stato pensato e ideato - apre la strada per un sistema innovativo di “drug delivery” non invasivo. La strategia di produzione potrebbe essere implementata anche per il trattamento di altri tipi di tumori, riducendo gli effetti collaterali degli attuali approcci terapeutici e aumentando l’adesione del paziente al piano terapeutico».

Sei mai stata all’estero per un’esperienza di ricerca?

«Nel 2013 ho partecipato a una PhD Summer School in Grecia. È stata un’esperienza fantastica, durante la quale ho conosciuto ricercatori di diverse nazionalità. In futuro spero di intraprendere anche un periodo più lungo, in modo da ampliare le mie conoscenze e rapportarmi a contesti diversi. Penso però che sia altrettanto importante restare in Italia, per valorizzare le eccellenze del nostro Paese e limitare il fenomeno dei cervelli in fuga».

Ricordi il momento in cui hai capito di voler “fare” ricerca?

«Ho sempre amato le materie scientifiche: i miei voti migliori al liceo erano in fisica e chimica. Ho capito che la mia strada era la ricerca fin dal primo giorno in cui ho messo piede in laboratorio per il tirocinio. Da quel giorno, nonostante le mille difficoltà incontrate lungo il percorso, gli alti e i bassi e le frustrazioni, non ho mai pensato di abbandonare questo lavoro. Sono andata contro tutti e tutto: oggi mi ritengo soddisfatta di aver tenuto duro».

C’è un momento della tua vita professionale che vorresti incorniciare?

«Sicuramente la vincita del mio primo assegno di ricerca con la Fondazione IBSA a Marzo 2020, in piena pandemia: è stata una luce in un periodo buio. E poi anche la vincita della borsa di ricerca Umberto Veronesi 2021. Ricordo che mi tremava la voce mentre leggevo l’email dell’avvenuta conferma del grant. Un altro momento da incorniciare è la vincita della borsa Veronesi 2022. Quando è arrivata la mail, ho chiamato subito il responsabile del progetto e abbiamo gioito insieme per questo nuovo traguardo».

Dove e come ti vedi fra dieci anni?

«Spero di vedermi qui nella mia città, Napoli. È la città che ho scelto: credo fermamente nelle sue potenzialità. Spero inoltre di aver contribuito concretamente alla ricerca per il tumore al seno triplo negativo e di essere diventata ricercatrice a tutti gli effetti».

Cosa ti piace di più della ricerca?

«Mi piace la curiosità di studiare i nuovi meccanismi molecolari e la possibilità di aiutare concretamente chi ne ha bisogno. Mi piace la libertà di pensiero».

E cosa invece eviteresti volentieri?

«Eviterei volentieri il precariato: ci renderebbe più sereni e ci permetterebbe anche di lavorare meglio».

Se ti dico scienza e ricerca, cosa ti viene in mente?

«Scienza e ricerca per me sono un binomio perfetto, non esiste l’una senza l’altra. La loro unione genera speranza, la speranza che possiamo donare, grazie ai nostri studi, alle persone che soffrono di determinate patologie».

C’è una figura che ti ha ispirato nella tua vita?

«I miei genitori. Con i loro sacrifici mi hanno insegnato a non dare nulla per scontato, a non utilizzare scorciatoie e a non mollare mai».

Cosa avresti fatto se non avessi fatto la ricercatrice?

«Probabilmente l’ingegnere chimico: era una branca che mi affascinava molto durante il liceo».

Al di là dei contenuti scientifici, qual è per te il senso profondo che ti spinge a fare ricerca ogni giorno?

«La ricerca credo sia curiosità, forza e possibilità di aiutare concretamente chi ne ha bisogno. Questa possibilità è il motore che dà un significato alle mie giornate lavorative, ai miei progetti ed esperimenti».

In cosa, secondo te, può migliorare la scienza e la comunità scientifica?

«Credo che la comunità scientifica debba migliorare nella comunicazione: abbiamo bisogno di divulgazione fatta in modo corretto, per avvicinare anche i non addetti al settore. Penso che in questo periodo di pandemia sia mancata proprio una buona comunicazione scientifica».

Pensi che ci sia un sentimento antiscientifico in Italia?

«Non solo in Italia, ma un po' ovunque abbiamo potuto constatare l’esistenza di un sentimento anti-scientifico. I no vax, i no mask, sono ancora tanti e purtroppo credo sia un fenomeno legato all’utilizzo scorretto dei social. Per contro, molte persone hanno invece aumentato la loro fiducia nei confronti dei ricercatori, grazie a eccellenti attività di divulgazione da parte di diversi enti, tra cui Fondazione Veronesi».

Concetta, cosa fai nel tempo libero?

«Mi piace molto ascoltare musica e soprattutto affinare le mie doti canore, una passione che coltivo sin da bambina. Da pochi mesi sono anche mamma di Carlotta, quindi sto con lei durante il tempo libero. Carlotta ha portato luce in questo periodo buio di piena pandemia. Mi ha dato tanta speranza e voglia di non mollare mai».

Se un giorno tua figlia ti dicesse che vuole fare la ricercatrice, come reagiresti?

«Le illustrerei i pro e i contro, le direi che è una strada tortuosa, ma che sa dare grandi soddisfazioni. Alla fine ne sarei fiera e non proverei a ostacolarla in nessun modo».

Quando è stata l’ultima volta che ti sei commossa?

«Il 18 ottobre 2021, il giorno in cui è nata Carlotta, con un taglio cesareo d’urgenza. Nonostante l’anestesia l’ho vista subito e sono scoppiata in un pianto enorme».

Una cosa che vorresti assolutamente fare almeno una volta nella vita?

«Vorrei pubblicare il mio lavoro sul tumore al seno triplo negativo su Nature».

Sei soddisfatta della tua vita?

«Molto. Sono soddisfatta della mia vita, dell’amore della mia famiglia e della possibilità di fare il lavoro che amo».

Che cosa ti fa arrabbiare?

«Ci sono due cose che più di altre mi fanno arrabbiare: essere menefreghisti e disonesti. Lotto continuamente con le persone di questo genere».

E che cosa ti fa ridere a crepapelle?

«Fortunatamente sono una persona che ride spesso. Con i miei colleghi, nonché grandi amici, ridiamo continuamente delle stranezze che ci contraddistinguono e che sono diventate i nostri punti di forza».

C’è un ricordo a te caro di quando eri bambina?

«Ho tanti ricordi, ho vissuto un’infanzia bellissima. Uno di quelli che custodisco nel cuore riguarda il giorno di Natale. Eravamo soliti scrivere le letterine ai nonni e ai nostri genitori e nasconderle sotto i loro piatti. Mi ricordo l’atmosfera magica che si creava e la nostra emozione quando leggevano i nostri auguri».

Hai un libro preferito?

«Il mio libro del cuore è Se questo è un uomo, di Primo Levi. Tutti lo dovrebbero leggere almeno una volta nella vita. L’olocausto è una tematica ancora poco affrontata a scuola».

Con chi ti piacerebbe andare a cena una sera e cosa ti piacerebbe chiedergli?

«Con Piero Angela. Vorrei chiedergli come è nata la sua passione per lo studio a 360 gradi e cosa pensa della divulgazione scientifica in Italia».

Cosa vorresti dire alle persone che scelgono di donare a sostegno della ricerca scientifica?

«Donate continuamente con piccoli e grandi gesti. Donate perché ogni donazione è cura, è amore per il prossimo e per chi ne ha bisogno. Ogni donazione è un tassello in più che la scienza può utilizzare per andare avanti e ottenere nuovi risultati. Donare è speranza e vita!».

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