08-10-2018

Cancro e psiche: domande e risposte con Gabriella Pravettoni

Ammalarsi di cancro è un avvenimento traumatico che investe anche la dimensione psicologica di una persona. Ne discutiamo con Gabriella Pravettoni

Domande e risposte, dialogo con Gabriella Pravettoni, direttore della divisione di psiconcologia dell'Istituto Europeo di Oncologia e docente ordinario di Psicologia delle Decisioni all'Università degli Studi di Milano. Conduce Donatella Barus, direttrice Magazine Fondazione Umberto Veronesi.

Barus: Che cos'è la psiconcologia?
Pravettoni: Si tratta di quella branca della psicologia che si occupa proprio di capire, aiutare e supportare i pazienti e i loro familiari. Identifica tutte le aree problematiche che possono insorgere dopo una diagnosi di cancro e segue anche una parte di prevenzione su come fare a prevenire i tumori nello stile di vita, abbassando lo stress e gestendo l'ansia.

Barus: ci scrivono su Instagram: "La psiconcologia andrebbe inserita nei protocolli di cura per i tumori. Non tutti i pazienti trovano a disposizione le risorse che ha appena citato lei in questo momento. Come funziona?"
Pravettoni: Intanto ringrazio questa amica che ha scritto e la invito a scrivere al ministro che, non solo bisognerebbe avere in ogni protocollo la disponibilità di uno psiconcologo, ma che ci sia davvero. Per esempio nelle Breast Unit è obbligatorio che ci sia uno psiconcologo e quindi già per legge noi abbiamo riconosciuta l'importanza questa figura, però non sempre la si utilizza o si ha davvero a disposizione.

Barus: Forse in troppi contesti è ancora considerato un lusso, non si pensa che l'urgenza è quella di guarire di affrontare le terapie. Vi ricordiamo, secondo l'ultimo rapporto sui tumori in Italia, che ci sono 1000 persone al giorno che ricevono una diagnosi di tumore. È un impatto forte, un trauma. Manuela ci ha scritto su Facebook: "Sono stata operata l’11 settembre e ora mi aspetta un anno di chemio e di radio. Mi rendo conto che devo essere forte, per me in primis e per tutta la mia famiglia, ma non so da che parte iniziare."

Pravettoni: Partiamo dalla diagnosi, l'inizio della terapia, come si fa a iniziare? La diagnosi è uno tsunami, nel momento in cui si ha una diagnosi di cancro si parte con una nuova vita. C'è una vita prima del tumore, come si dice spesso con i pazienti, e una vita che inizia da quel momento in avanti. C'è un momento di grandi emozioni negative, di depressione, di shock, di ansia, anzi, di panico vero. Tutto entra in confusione e anche la famiglia stessa, come sistema, entra in collisione. Cambiano i ruoli anche all'interno della famiglia, di chi cura e di chi viene curato, del bisogno emotivo che tutti, all'interno di questo gruppo, hanno di fronte al dare supporto paziente. È un percorso lungo, tu l'hai appena iniziato ma è un'esperienza importantissima. Questo è stato l'inizio, adesso dobbiamo cercare di andare avanti e vivere al meglio questa esperienza.

Barus: Non si può non citare un caso di cui avrete tutti sentito parlare nelle scorse settimane: Nadia Toffa, la conduttrice televisiva, è stata al centro di polemiche per alcune sue dichiarazioni che riguardavano la sua malattia. Lei, ammalata di tumore, ha usato alcune espressioni che sono state criticate da molti, in particolare ha detto di avere inteso la sua malattia come un dono nella sua vita. Non parlava tanto di guarigione ma di resilienza, quindi della capacità di reagire. Ha detto inoltre che l'esperienza dei tumori era uguale per tutti i pazienti, e ha sollevato un po di discussione e un po’ di equivoci. Che cosa le sembra di poter trarre da quella vicenda? Quali sono gli aspetti che più l'hanno colpita?

Pravettoni: Io colgo l'occasione per fare un po’ di chiarezza su eventi come questo. Io non conosco questa conduttrice quindi non mi sento di dare delle interpretazioni su delle frasi che ha detto o che possono essere state dette. Si solleva però un tema molto importante: la responsabilità di persone che sono conosciute quando parlano della loro esperienza. Tutte le persone, dopo aver avuto una diagnosi, iniziano un percorso completamente sotto shock e alcune rispondono con depressione e ansia. Poi, a volte in gruppo o da sole, trovano la forza di parlare della loro esperienza. Va bene parlare e condividere la propria esperienza, ma non si dovrebbe mai dimenticare che non si acquista una laurea in psicologia perché si ha avuto una diagnosi di cancro. Ognuno di noi ha la diagnosi che viene fatta da un medico, la terapia oncologica la fa l'oncologo, il chirurgo fa l'intervento, lo psicologo fa lo psicologo, quindi non bisogna cominciare a dire :"a me è successo così e quindi si fa così e siccome io ce la faccio tutti ce la fanno". Non bisogna mai generalizzare, soprattutto riguardo alle emozioni personali, ai vissuti personali. Bisogna rispettare ogni persona che ha diritto, di fronte alla sofferenza che è implicita in una diagnosi e durante tutto il suo percorso, bisognerebbe davvero imparare a non dare consigli agli altri e non dire che cosa devono fare, o perlomeno condividere solo se queste persone vogliono ascoltare. Dobbiamo porci non come ci si pone su Instagram o su Facebook. Ogni volta che noi usiamo un social abbiamo una comunicazione veloce e quindi molte cose possono essere fraintese. Dobbiamo stare molto attenti a non giudicare mai gli altri, le azioni e a non dare noi delle prescrizioni. Le prescrizioni sono date da un medico e il percorso psicologico si fa con uno psicologo specializzato, quindi cercate un esperto.

Barus: A questo proposito, ci sono dei segnali d'allarme o dei sintomi che devono spingere più di altre situazioni a cercare un aiuto sul piano psicologico? La paura o il malessere sono forse scontati, come abbiamo detto, ma quand'è che mi devo preoccupare e devo pensare di chiedere aiuto?

Pravettoni: In realtà anche questa è una questione un po’ culturale. In America si va dallo psicologo, dal coach, per aumentare il proprio talento, le proprie potenzialità e per riuscire a lavorare di più su se stessi. Culturalmente qui in Italia fino a poco tempo fa si diceva: "Come? Vai dallo psicologo? Ma allora sei matto!". È un po’ come penalizzare l'idea di una persona di chiedere e ricevere aiuto e di aver bisogno di sostegno. Quindi, non c'è un momento. Qualsiasi momento per una persona, della propria esistenza, può essere un momento in cui si ha voglia di fare più chiarezza, cercare di aumentare le proprie risposte positive e la propria resilienza. Nel caso della diagnosi di tumore, cioè in un percorso di questo genere, è molto importante chiedere aiuto e non aver paura del sostegno proprio perché oltre alla nostra risposta, che possiamo essere anche delle persone capaci di gestire l'ansia, magari abbiamo dei bambini piccoli, abbiamo dei figli adolescenti, abbiamo dei genitori. Appunto come dicevamo, è tutto il sistema familiare, di supporto e di cura che entra un po’ in collisione. Questo è molto importante e da considerare in qualsiasi momento.

Barus: Una domanda che ci hanno fatto in molti è: quanto conta la forza di volontà e l'atteggiamento positivo? Forse c'è un equivoco. Spesso si stimolano i pazienti e le persone malate ad avere un atteggiamento positivo. Se uno non ce la fa ad essere positivo può diventare un boomerang colpevolizzante. Quanto conta poi nella prognosi e nella possibilità di stare bene?

Pravettoni: Anche qui bisogna sfatare un altro mito. Cos’è l'atteggiamento? L'atteggiamento è quello che io assumo in questo momento, e quindi è per definizione una cosa temporanea. Assumere un atteggiamento positivo, che cosa significa? Che devo fingere tutta la vita in ogni situazione di stare bene? O che devo dimostrare agli altri che sono intorno a me che io sto bene e che sono positivo? Anche qui, il problema è legato al fatto, e deve essere legato al fatto, che noi tendiamo ad essere superficiali nelle risposte. Io dico sempre che di fronte alla sofferenza dovremmo stare zitti, e imparare a rispettare il dolore, conoscere il nostro dolore in modo autocentrato e autoriflessivo e non nella dimostrazione agli altri di stare bene. Gli atteggiamenti che noi assumiamo devono far parte di un percorso interiore, non di un percorso in cui dobbiamo dimostrare qualcosa a qualcun altro. Questo è veramente l'elemento fondamentale. Riuscire a lavorare per sé. Se io riesco a lavorare bene su me stesso e questo riuscirà a sostenermi con una buona prognosi, è abbastanza dimostrato che quando noi liberiamo endorfine, anche banalmente facendo sport e i nostri hobby, riusciamo ad avere delle buone risposte. Ma non possiamo scherzare. Una diagnosi è una diagnosi e un tumore è un tumore, quindi non è solo l'atteggiamento che cambierà la prognosi.

Barus: Quali tipo di terapie si possono mettere in atto per aiutare una persona in queste circostanze? Lei non è soltanto una docente una scrittrice, ma una persona che i pazienti li incontra davvero. Che cosa può mettere a disposizione come tecniche e come metodi?

Pravettoni: Ci sono diverse tecniche e naturalmente, anche qui, appunto come dicevamo prima, nella psicologia si entra con una regola. Senza memoria, senza inganno e soprattutto senza giudizio. Per cui incontrando una persona la prima cosa da fare è cercare di capire di che cosa ha bisogno quel tipo di persona. Potrebbe essere una terapia di coppia, una terapia familiare, una terapia sessuale per tornare ad avere una buona sessualità, una terapia individuale. Ci sono molte possibilità, fortunatamente la psicologia ci offre veramente tanti elementi per affrontare il nostro disagio. Quest'anno abbiamo portato 150 pazienti, lo stesso anno altri 30 pazienti, organizzato con il nostro Istituto Oncologico Europeo, a fare delle esperienze di vela. Una settimana in barca a vela, in cui la mattina si impara a ad andare in barca a vela e il pomeriggio si lavora in psicoterapia. È un percorso molto bello perché la mattina si impara a virare e strambare, e il pomeriggio si lavora su che cosa è stata la virata e la strambata dentro questa esperienza oncologica. Il mattino seguente si impara ad andare di bolina, a prendere il vento, a non contrastare le forze della natura. Nel pomeriggio si ragiona proprio, nell'esperienza psicoterapeutica, di che cosa vuol dire assecondare la malattia, non contrastarla, non diventare aggressivi e riuscire a vivere bene, o al meglio possibile, quel momento. Perché questo è l'elemento fondamentale della terapia, noi dobbiamo vivere molto bene nel presente, nell'esperienza ricercare il meglio che possiamo vivere. Tutti andiamo verso Itaca, tutti vogliamo raggiungere quest’isola, ma a Itaca c'è una fine per tutti. È molto più importante fare bene il nostro viaggio e rimanere nel nostro viaggio. In certi momenti ci si rimane con dolore, ma si può lavorare per stare in questo viaggio serenamente.

Barus: Ci sono due termini che lei ha tirato fuori in questa risposta e che ritornano in molti degli interventi dei nostri utenti. Uno è la fine. A volte, se è più facile parlare di forza di resilienza e di capacità di reazione quando si può guarire, è molto più difficile farlo quando si sa che la malattia non può guarire. La si può magari gestire per molto tempo, ma non si guarisce. In questi casi che cosa cambia, quali sono le cose che possiamo fare noi stessi o per le persone care? Chi è vicino queste persone può fare qualcosa di utile?

Pravettoni: Questo è un elemento importantissimo, che mi dà una grande occasione. Noi dobbiamo abolire dal nostro vocabolario dei termini come: "sono la guerriera", "vinco la guerra" oppure "noi ce la faremo, sicuro che ce la faremo". Il punto fondamentale è che bisogna avere rispetto estremo per un'esperienza che, può essere positiva, che si risolve bene, e invece un momento in cui un percorso che invece non finisce bene. Noi abbiamo la nascita, la nascita si contrappone la morte. Dentro questo percorso noi speriamo tutti che sia un momento in cui si viva bene per tutti quanti. Dobbiamo imparare a stare vicino anche a chi invece questa esperienza la conclude come esperienza di vita.

Barus: I medici, gli oncologi in particolare, quanto riescono ad avere a che fare con un paziente che non sono in grado di guarire?

Pravettoni: Come si dice sempre, anche con il medico, dipende tutto dalla persona. Il medico è una persona. Ci sono medici più capaci di avere un rapporto con un paziente, di dare delle comunicazioni in un modo adeguato, e persone che magari hanno maggiori difficoltà a comunicare con i propri pazienti. Quello che stavo sottolineando era proprio la necessità di non essere superficiali, di dare sempre delle risposte scontate, come quelle frasi incoraggianti: "Ma vedrai che andrà tutto bene", "tutto positivo", "ma noi siamo delle guerriere vinceremo la guerra". Noi dobbiamo imparare ad avere più rispetto per esperienze di dolore e di sofferenza che a volte, purtroppo, si concludono non positivamente o meglio, non concordando con le aspettative della nostra paziente.

Barus: È arrivata un'email da Grazia, che parla di una sorella, dice: "Mia sorella si è ammalata, ci siamo tutti spaventati tantissimo e l'abbiamo sostenuta. Ora è sotto controllo e sta abbastanza bene. Il fatto è che sembrano importarle solo le sue amiche del gruppo di auto aiuto, il resto del mondo lo taglia fuori. Mi fa rabbia, ma a volte penso che per lei sia meglio così e non so cosa dirle"

Pravettoni: In questo momento ti direi di rispettare le esigenze di tua sorella perché è molto vero che il gruppo delle persone con cui si condivide la stessa esperienza è un aiuto importante. È chiaro che non si risolverà tutto all'interno di quel gruppo ed è chiaro che ci sarà un momento in cui anche voi tornerete ad avere un rapporto, che sarà un rapporto diverso perché, come abbiamo già detto, il tumore ci cambia, e cambia le relazioni all'interno del sistema familiare. Anche tu capirai qual è il tuo il tuo nuovo spazio in questa relazione con tua sorella. È importantissimo, lo sottolineo: Rispettiamo le esigenze delle persone che stanno soffrendo e ricordiamoci sempre di non giudicare o non pensare di avere la risposta giusta per tutti.

Barus: C'è un capitolo importante che viene trattato nel manuale. Qualche tempo fa, Gabriella Pravettoni ha pubblicato un bel libro insieme a Umberto Veronesi. Si chiama "Senza paura. Vincere il tumore con la medicina della persona". Anche qua ci sono tante storie di relazioni familiari. Si parla della fatica di chi non è malato di stare accanto a una persona malata. In tante persone ci scrivono raccontando della difficoltà del partner. Ricordiamo che ottobre è il mese dedicato ai tumori femminili e questa nostra trasmissione e attività sono in qualche modo dedicate in maniera speciale alle donne che affrontano un tumore.

Pravettoni: Ma ci sono anche i partner che stanno loro vicino, e risulta faticoso. È faticoso per tutti perché una diagnosi di tumore porta un nuovo inquilino all'interno delle relazioni, entra qualcuno dentro la famiglia che chiaramente si pone tra me e l'altro, il partner ha su di sé tutta la fatica di portare questo nuovo inquilino. Le reazioni della persona con cui siamo stati, che fino a ieri reagiva in un maniera solare e quindi aveva la sua personalità, che dopo la diagnosi viene chiaramente messa a dura prova. È un percorso che riguarda entrambi. I partner devono portarsi il peso e tante volte ci sono degli uomini che si sentono in colpa, dicono: "Io non ne posso più! Un conto erano i sei mesi, il primo anno, ma adesso è da un anno e mezzo che parliamo di questo tumore, e il tumore non c'è più.". Noi dovremmo cercare di tornare alla normalità quanto prima, nel rispetto di questo percorso faticoso per entrambi. Per questo, molto più spesso, facciamo delle terapie di coppia o delle terapie familiari, perché appunto tutto il sistema che entra in tilt, non solo la persona che ha la malattia.

Barus: Manca un elemento importante, visto che abbiamo parlato di famiglia: sono i figli. Aumenta il numero delle donne per che si ammalano di tumore al seno in giovane età, quindi magari quando hanno dei figli ancora piccoli. Come dire, quanto dire ai bambini? Capita a voi professionisti di aiutare i genitori a trattare questo argomento in casa?

Pravettoni: Sì, certo che ci capita. È vero ci sono sempre più spesso delle donne giovani che si ammalano e ci sono donne che hanno bambini molto piccoli, o addirittura che scoprono di avere un tumore durante la gravidanza o durante l'allattamento, per cui delle situazioni molto complicate. Noi chiaramente aiutiamo le persone a comunicare. Qui c’è una regola fondamentale: a qualsiasi età bisogna sempre dire la verità. Non bisogna nascondere, perché ognuno di noi ha una sensibilità nella relazione. Per questo si capisce se c'è qualcosa che non funziona, ed è un bene chiarire subito che cosa non sta funzionando. Ci sono delle persone che dicono: "Io non ho detto niente a mia figlia del fatto che ho avuto un tumore, ma a un certo punto mia figlia mi ha detto "mamma ma che cosa stai facendo stai uscendo senza prendere i tuoi capelli nell'armadio?"". Una bambina di cinque anni che aveva capito precisamente che la mamma aveva delle difficoltà. Ma una bambina di cinque anni ha avuto delle fantasie positive rispetto a questa cosa. Noi però dobbiamo stare molto attenti, ci sono casi in cui una signora con un figlio adolescente mi dice: "Mio figlio non capisce niente, non sta mai a casa, sta sempre fuori, non vuole rientrare, non vuole parlare di questa cosa". in realtà questo ragazzo era il panico fatto persona ed era terrorizzato, perché non parlando a volte le situazioni possono sembrare ancora più gravi e ancora più intense emotivamente. Non posso parlare a un ragazzo di 18 anni come parlo con un bambino di 5 anni. Però, nel rispetto dell'età della capacità di comprensione di quel bambino, certamente dire la verità.

Barus: Riguardo il discorso della verità, ci sono alcuni utenti che si interrogano su invece il caso opposto: parenti anziani. Anche in questo caso è sempre meglio dire la verità?

Pravettoni: Io ho detto che bisogna dire la verità, non ho detto che bisogna dire tutto. Per esempio, i pazienti chiedono tutto ciò che vogliono sapere e non di più. Se una persona è attenta nella relazione capisce perfettamente quanto l'altro vuole conoscere della sua situazione, e questo è molto importante.

Barus: Concluderei con con una domanda: come sono cambiate le donne che vede arrivare negli ultimi tempi? Sono più consapevoli? Serve questo lavoro di informazione e di sensibilizzazione sul tema del tumore?

Pravettoni: La prevenzione e la sensibilizzazione sono un elemento fondamentale e hanno cambiato certamente in modo positivo. Migliora il contenimento dell'ansia, della capacità di comprendere che, nonostante io stia vivendo un momento traumatico, è un'esperienza che si può vivere e che si può affrontare. Quindi c'è un atteggiamento di apertura e non di contrasto, anche di una situazione che non c'eravamo cercati e che non volevamo però, con una propensione a cercare di comprendere come fare, cosa fare, come affrontare questa malattia. C’è un atteggiamento più positivo di quello che si vedeva anni fa. Quello che ancora su cui ancora, secondo me, dobbiamo lavorare, è il coraggio di chiedere aiuto, di non aver paura di essere supportati. È importante la qualità di vita di una persona, soprattutto quando vive un'esperienza così profonda e dolorosa.

Barus: Ringrazio la Professoressa Pravettoni. il messaggio finale è quindi che il vero coraggio è quello di saper chiedere aiuto, guardarsi intorno e cercare l'aiuto di persone competenti, imparare a dialogare con il proprio medico e usare le risorse che il sistema sanitario comunque offre. Troverete da scaricare gratuitamente il nuovo manuale dedicato alla psiconcologia, nell'area download del sito.

Torna a inizio pagina